giovedì 9 aprile 2009

25- Breve vita di un cane abbandonato

Sciacca 14 febbraio 2009

Un cane abbandonato dal suo padrone vuole mettermi in crisi. Tempo fa mi è capitato di vedermelo intorno, ora si è stabilito presso la mia casa e non vuole andarsene via. Mi sono accorta che è un randagio perché dimagrisce ogni giorno di più. Nei primi tempi mi abbaiava quando rientravo in casa, venendo da fuori; ora si è abituato a vedermi e sta tranquillo, anzi mi guarda come a chiedermi aiuto.
Stamattina, spazzando il porticato, ho visto dove dorme: all'aperto, al gelo, su un cumulo di fiori di bouganville, ammassati dal vento in un angolo del mio porticato. Maria Elena, che ha il cuore tenero, mi prega di dargli da mangiare perché non si ripeta quello che è accaduto ad un altro sventurato cane che ho visto moribondo vicino alla mia casa e che mi ha fatto scrivere il racconto “Sensi di colpa”.
Stamattina uscendo non ho visto il cane. Mi sono sentita sollevata, come lo struzzo che nasconde la testa per non vedere.
Il problema dei cani randagi purtroppo esiste nella nostra città, come in tante altre e bisognerebbe pensarci. Questo è il terzo cane che gironzola nella mia zona.

L'estate scorsa mi misi in azione per salvare un bellissimo cane nero, giovane, dal pelo lucido, mansueto, affettuoso. Si capiva che era cresciuto insieme all'uomo ed era fiducioso. Quando uscivo da casa non abbaiava per difendersi o mantenere le distanze, ma si avvicinava con la coda bassa e accertatosi della mia buona disposizione si avvicinava cercando il contatto con le mia gambe e invogliando la mia mano ad una carezza. Dopo alcuni giorni mi accorsi che era un cane abbandonato da un padrone che non poteva o non voleva tenerlo più in casa. Pensando al cane sfortunato che avevo visto morire in modo orrendo, per attenuare i sensi di colpa precedenti decisi che avrei cercato qualcuno che lo adottasse.

Era bello, giovane, intelligente, desideroso di amare qualcuno e di essere amato. Cominciai a prendere delle informazioni per cercare di toglierlo alla strada e di affidarlo a qualcuno che volesse curarsene. Seguendo le prime indicazioni mi rivolsi a un veterinario che si diceva avesse a cuore la sorte degli animai sfortunati. Bussai al suo studio e lo trovai alle prese con un intervento (forse chirurgico) a un cane. Spiegata in breve la mia richiesta di aiuto, mi liquidò dicendo che ero stata male informata.
Scattai delle foto al cane e ne pubblicai la più bella in un sito Internet offrendo il bell'animale in adozione. Sparsi la voce in tutti i supermercati. Girai un filmino che registrai in un dvd per mandarlo alle TV locali nella speranza che il padrone, vedendolo, se lo riprendesse o che qualcuno lo adottasse. Ma le TV locali non erano interessate al problema e buttai nel cestino il dvd.
Maria Elena, interessata anche lei alla salvezza del cane, portò a casa del cibo in scatola acquistato in un supermercato. Ricordo la voracità con cui mangiò la prima volta che gli calai dal balcone il secchio con il cibo!
Falliti i miei tentativi di collocare il cane, salii le scale del Municipio per porre a qualcuno la questione dei cani randagi e in particolare del mio cane nero (dico mio perché l'animale, assicuratosi il mio cibo, non se ne sarebbe più andato via dalla mia casa). Dopo vari tentativi, trovai la persona giusta alla quale rivolgermi. Mi informò con freddezza delle disposizioni di legge relative ai cani randagi: è vietato sopprimerli; è obbligatorio per il Comune raccoglierli in un canile; se non c'è un canile municipale si ricorre a quello di un comune più vicino, ecc. ecc.
In conclusione: a Sciacca non c'è un canile municipale; non ci sono soldi né per costruirlo, né per utilizzare quelli di altri comuni.
Ormai avevo tentato tutte le strade possibili senza alcun risultato. Mi restava solo la speranza di trovare qualcuno disposto ad accoglierlo. Dovevo solo aspettare.
Ma non dovetti aspettare molto per arrivare alla soluzione finale. Se il primo giorno il cane mangiò avidamente il mio cibo, l'indomani lo assaggiò appena. Il terzo giorno non si avvicinò al secchio. Non saltava, non correva, non mi veniva incontro: mi aspettava quasi immobile sotto un pino muovendo appena la coda in segno di riconoscenza per le mie attenzioni. Capivo che gli era successo qualcosa. Spesso mi sporgevo dal balcone per vederlo e lo chiamavo. Mi rispondeva solo volgendo appena la testa.
Il quarto giorno, uscendo di casa, trovai una pozza di sangue nel mio porticato. Cosa era successo? pensai che nella notte fosse stato aggredito da un cane più grosso di lui. Lo cercai sotto il pino dove era solito aspettarmi: non c'era. Feci il giro intorno alla casa e lo trovai morto, imbrattato di sangue. Non aveva ferite. Era stato avvelenato. Soffrii anche questa volta per la sua fine, ma senza sensi di colpa. Spettò a me l'operazione incresciosa di prenderlo di peso, adagiarlo sulla carriola e trasportarlo ai piedi del più vicino cassonetto della spazzatura. Tutto il giorno rimase sul bordo della strada all'aperto. L'indomani non c'era più.


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