domenica 23 novembre 2014

Viaggio in Vietnam dal 20 al 31 ottobre 2014







       Introduzione

Perché scrivere il diario?
Il viaggio di gruppo organizzato ha il vantaggio di far conoscere con le guide locali il maggior numero di cose da vedere in un paese straniero e nel minor tempo possibile, per contenere il costo del viaggio. Però poi torno a casa con la testa piena di un’accozzaglia di immagini, notizie, esperienze, che non mi fa raccapezzare facilmente. Mi chiedo: Dove eravamo in tal giorno? Come si chiamava quella città? Dove abbiamo comprato i souvenir? In quale parte del paese si coltivano le perle? E dov’era quel canalone dove abbiamo fatto un giro in barca tanto emozionante?
Queste e tante altre domande si affacciano alla mia mente, dove immagini, ricordi ed emozioni vissute sono stati registrati così in fretta, da lasciare solo una traccia generica.
Scrivere il diario per me significa ripercorre tappa dopo tappa il viaggio fatto, con l’ausilio di foto, riprese video, appunti presi durante il viaggio, consultando di volta in volta la mappa del paese che si è visitato.
Perciò, passati i giorni di malessere per il cambiamento di fuso orario, rimosse dalla memoria le fatiche fisiche del viaggio, scrivere il diario per me significa rivivere il viaggio ad un ritmo più adeguato, approfondirlo, gustarlo ancor di più.
                                                                                                                             Sciacca 4 novembre 2014


Il viaggio in Vietnam non l’ho scelto io: mi era stato proposto da Mario Porporino e l’ho approvato subito, senza ancora conoscerne il programma dettagliato. Dopo il viaggio in Thailandia di due anni fa, mi piaceva l’idea di tornare in Estremo Oriente, specialmente in Vietnam, un paese martoriato da guerre, di cui si è spesso sentito parlare negli anni passati, ma senza particolare interesse, essendo così geograficamente distante.
Questa volta sarei partita senza la mia solita compagna di viaggi, con cui ho condiviso la camera d’albergo; ma nel gruppo di coloro che avevano prenotato il viaggio c’erano Marcella, Franca, Rosalba, Maria, i miei cugini Mariella e Pippo, tutte persone care, con cui ho condiviso parecchi viaggi organizzati da Mario Porporino. Questa volta avrei dormito in camera singola, ma poi Mario mi propose la possibilità di condividere la camera in albergo con una signora romana disponibile ed accettai, pensando che, nell’ipotesi di una incompatibilità di carattere, avrei comunque trovato, nel corso del viaggio,  una camera singola per me. Di lei conoscevo solo il nome, Gabriella, e non avevo neanche il suo numero di telefono per chiamarla e avere un primo approccio. Qualche giorno prima della partenza fu lei a chiamarmi e a presentarsi e lo fece in modo così semplice e naturale che subito suscitò in me simpatia. Anche lei provò un’impressione favorevole nei miei confronti, mettendo particolarmente in rilievo il fatto che sia io che lei aborriamo il fumo. Non avevo pensato a questo particolare: neanch’io potrei tollerare di condividere la camera con una fumatrice.
Avvicinandosi la data della partenza, ho dedicato il mio tempo libero allo studio della carta geografica del Vietnam, su cui ho segnato con una penna rossa il percorso che avremmo fatto da nord a sud, dalla capitale Hanoi a Saigon, che oggi si chiama Ho Chi Min, dal nome del rivoluzionario che unificò il paese, facendone una repubblica democratica di tipo comunista. Tra le cose notevoli che avremmo visto il programma dava risalto alla Baia di Halong, che nel 1994 venne inserita dall’UNESCO tra i patrimoni dell’umanità, e nelle cui acque avremmo navigato per un giorno e una notte nella imbarcazione da crociera “Aphrodite”.
Guardai in internet alcune foto, che mi affrettai a inviare alle mie amiche per posta elettronica, affinché condividessero il mio stupore per la straordinaria bellezza dei luoghi fotografati. Ne scelsi tre fra quelle che mi sembravano più belle e che mi facevano già sognare.


Per quanto riguarda i templi, non diedi loro tanta importanza, perché ne avevo visti tanti in Thailandia e pensavo che sarebbero stati simili.
      Il lato meno bello del viaggio mi apparivano gli otto voli in aereo, tanti e faticosi, ma “condicio sine qua non” per raggiungere un paese così lontano:

 Andata:                 
Sciacca-Palermo (taxi un’ ora e un quarto)
      1- Volo Alitalia Palermo-Roma (un’ ora)
      2- Volo Thai Airways Roma-Bangkok (dieci ore)
      3- Volo Thai Airways Bangkok-Hanoi (due ore)
      4- Volo Vietnam Airlines Hanoi-Da Nang (Vietnam centrale, un’ ora)

      5- Volo Vietnam Airlines Danang-Ho Chi Min (ex Saigon, un’ ora)

  Ritorno:  
6- VoloThai Airways Ho Chi Min-Bangkok

      7- Volo VoloThai Airways Bangkok-Roma

      8- Volo Alitalia Roma-Palermo

    Palermo-Sciacca (taxi un’ ora e un quarto) 


1° giorno – 20 ott.2014 lun. 
 Il decollo da Palermo è avvenuto con un’ora e mezzo di ritardo a causa della nebbia nell’aeroporto di Fiumicino.



2° giorno – 21 ott.2014 mar.



Arriviamo il giorno dopo ad Hanoi, stanchissimi per non aver dormito la notte prima della partenza e per le attese negli aeroporti tra un volo e l’altro.

Dopo l’incontro con la guida locale, Phat, andiamo a pranzo in un ristorante e poi in albergo, “Ha Noi Pearl”, dove una doccia calda e un buon sonno pomeridiano ci restituiscono le energie perdute e la gioia di trovarci in Vietnam.



Alle ore 16,30 ci troviamo nella hall dell’albergo con Phat, che ci accompagna alla stazione dei risciò per un giro nel centro storico della capitale e dei dintorni del lago Hoan Kiem.

L’impatto con la città è sconvolgente: caldo umido, rumori, odore di spezie e di cibi cotti sulla strada, guida spericolata in mezzo ad una marea di motorini, il solo mezzo usato dai vietnamiti di tutte le età per muoversi in città. Qui la Honda ha stabilito delle sue fabbriche già nel ’96 e ora per le strade del Vietnam circolano 28 milioni di scooter che inquinano fortemente l’aria. Ecco il motivo per cui la maggior parte dei motociclisti portano la mascherina, ma anche tanti pedoni. La mascherina ha sostituito il cappello conico come simbolo del Vietnam.

Si vedono circolare poche auto che, per l’elevato costo, con l’aggiunta del 200% di tassa da pagare allo Stato, sono un sogno irraggiungibile per la gente comune.


Il motorino viene usato anche come mezzo di trasporto di merci: non è raro vedere un carico di merce così enorme da nascondere il guidatore. Secondo una statistica del 2009 circolano 40 milioni di motorini, ma la guida Phat ritiene che oggi saranno di gran lunga di più.





La prima cena in un ristorante tipico ci sembra ottima, ma nel corso del viaggio la cucina vietnamita ci piace sempre meno, perché poco varia, sia nei ristoranti di città, che nei villaggi o nelle case dei contadini. A tavola è sempre presente una ciotola di riso asciutto cotto al vapore, accompagnata da un’altra di verdure varie e ortaggi cotti pure al vapore e ciotoline di intingoli dolciastri in cui sentiamo l’aceto senza poter distinguere gli altri ingredienti. Sono sempre presenti gli “involtini primavera”, composti di carne tritata, funghi, verdure, come carote cavoli, rape, avvolti in una striscia di carta di riso e fritti.



3° giorno – 22 ott.2014


Io e Gabriella ci alziamo presto e dopo colazione siamo pronte per andare al vicino lago a vedere la gente che ogni mattina inizia la sua giornata facendo il Tai Chi all’aperto. Il Tai Chi è un insieme di movimenti fisici e tecniche di gestione dell’energia interna, la quale, secondo le teorie mediche orientali,  grazie a movimenti attentamente studiati e alla respirazione, aiuta la persona a ripristinare un corretto funzionamento dell'organismo, creando un'armonia fra mente e corpo.

Alcune donne, vedendoci intente a guardare, interrompono momentaneamente il Tai Chi e si lasciano fotografare insieme a noi. Tornate in albergo, ci uniamo al gruppo e a Phat che ci farà conoscere ciò che Hanoi può offrirci di interessante.


La prima parte della giornata è dedicata alla visita al Tempio della Letteratura,  creato  nel  1070 e dedicato al filosofo cinese  Confucio,  per rendere omaggio a eruditi e letterati.  Nel 1076 divenne sede della prima università del Vietnam che istruiva i figli dei mandarini e tale rimase fino al 1802, quando l'imperatore Gia Long decise di trasferire l'Università Nazionale ad Hué, la nuova capitale. Varcato l’arco di ingresso della area del Tempio, ci troviamo in un giardino ben curato, pieno di piante rigogliose con vasche piene di fiori di loto.    
   
      



Ordinati scolaretti vi entrano in fila per una visita, accompagnati dalla maestra, e coppie di sposi posano per le foto.
 




Nell’’area del Tempio si susseguono padiglioni, cortili e laghetti e si respira un’atmosfera serena, lontana dal caos di Ha Noi.



Gabriella posa tra le ragazze venute al tempio a festeggiare la loro laurea.

Nell’’area del Tempio si susseguono padiglioni, cortili e laghetti e si respira un’atmosfera serena, lontana dal caos di Ha Noi. Troviamo anche un negozio di souvenir, dove ci affrettiamo a comprare qualcosa da portare in Italia.

Abbiamo qualche difficoltà a calcolare velocemente il costo di un oggetto in euro per la grande differenza con la moneta locale, il dong. Il nostro euro equivale a circa 26.000 dong. Nel cambiare in albergo una sola banconota di 20 euro abbiamo ricevuto un grosso fascio di banconote, che hanno riempito il portafoglio!





Altare di Confucio




Nell’’area del Tempio si susseguono padiglioni, cortili e laghetti e si respira un’atmosfera serena, lontana dal caos di Ha Noi. Troviamo anche un negozio di souvenir, dove ci affrettiamo a comprare qualcosa da portare in Italia.

Abbiamo qualche difficoltà a calcolare velocemente il costo di un oggetto in euro per la grande differenza con la moneta locale, il dong. Il nostro euro equivale a circa 26.000 dong. Nel cambiare in albergo una sola banconota di 20 euro abbiamo ricevuto un grosso fascio di banconote, che hanno riempito il portafoglio!



 
Alcuni souvenir comprati in diversi negozi



Usciamo dal Tempio della Letteratura alle ore 10,30 circa. Phat ci conduce a piedi al mercato di un vicino villaggio. C’è con lui una ragazza che farà la spesa per preparare il nostro pranzo in un’antica casa rurale del villaggio.

E’ divertente percorrere la stradina del villaggio in cui i venditori, per lo più donne, espongono la loro merce su una stuoia, sui due lati del marciapiede: carne, uova pesci, frutta, verdura, ecc.

 Accovacciate a terra le donne puliscono le verdure in attesa degli acquirenti. Nel contenitore verde in basso ci sono germogli di palma.








Si vendono granchi, pesci, conchiglie, vermi. Questi ultimi, ricchi di vitamine, sono considerati un cibo pregiato e costoso al pari delle ostriche.


Quanti colori, odori, varietà di frutta, verdura, spezie!  Percorso tutto il mercato, torniamo indietro per la stessa stradina e ci avviamo verso la casa rurale dove siamo attesi per imparare a cucinare nel modo vietnamita. 

Troviamo due lunghi tavoli all’aperto con una cucina da campo dai fornelli accesi, con una pentola e una padella. Agli appassionati di cucina del gruppo, che vogliono imparare a cucinare le pietanze locali, vengono offerti un grembiule e dei guanti. Gli ingredienti e le ciotoline con i condimenti sono pronti sui tavoli. Io, che non amo la cucina, mi astengo, interessandomi a filmare la scena e a scattare foto. 

  Preparazione di una crespella di riso

La lezione più importante è stata quella di creare con una pastella di riso delle crespelle cotte a vapore su una piastra con coperchio. Il difficile era togliere dalla piastra, con un bastoncino, la crespella umida e molliccia e deporla su una foglia di banana per poi riempirla di carne tritata e formare un involtino (l’involtino primavera, che ci è stato offerto ogni giorno del nostro viaggio).
Una  delle cuoche ci  ha insegnato a creare una rosa rossa con un pomodoro. Lo stelo e le foglie  sono fatte con la buccia della zucchina. L’effetto è sorprendente. Se ci provassi, forse anch’io riuscirei a farla!



 Dopo la divertente lezione di cucina, ci viene servito il pranzo in un padiglione attiguo.


Un vassoio di involtini primavera

Alla fine del pranzo una foto ricordo di Mario Porporino con le cuoche.

  Ripreso il pullman intorno alle ore 14,00 ci rechiamo nella periferia di Hanoi per la visita alla Pagoda di Tran Quoc,  la più antica della città, costruita nel VI secolo. 



Originariamente si trovava sulle rive del Fiume Rosso; poi è stata trasferita sul Lago Ho Tay agli inizi del XVII secolo, per pericolo di crollo.
  
Sull’altare si vedono le offerte di frutta dei fedeli buddisti.




 L'ultima tappa del nostro secondo giorno ad Hanoi è il Museo Etnografico, all'interno del quale si vedono collezioni di oggetti di vita quotidiana appartenenti alle 54 etnie del paese. All'esterno si trovano vere case tipiche ricostruite dagli abitanti delle varie etnie chiamati dal governo per la realizzazione fedele delle costruzioni, che mostrano i diversi stili architettonici dettati dalle diverse culture. 


Una casa appartenente ad una etnia matrilineare: ogni qualvolta una figlia della famiglia si sposava, la casa si allungava con l’aggiunta di una nuova stanza. Perciò dalla lunghezza della casa si evidenziava la grandezza della famiglia.
Una casa comunitaria in cui gli abitanti del villaggio tenevano consigli di guerra, riti e celebrazioni.
La terza tappa è la visita ad un laboratorio artigianale di laccatura, un arte antichissima di cui i vietnamiti sono appassionati. Non vi avevo dato mai importanza e non pensavo che ci volessero lunghe e pazienti procedure per portare a termine un oggetto laccato. Molti di noi ne hanno comprato qualcuno da portare a casa come souvenir.

Sono le 17,30 circa e il pullman ci riporta in albergo. Non abbiamo alcun impegno e siamo liberi di trascorrere il resto della serata a nostro piacimento. Anche la cena è libera. Gabriella si è accordata con Giordana e Marcello per cenare insieme nella loro camera o nel ristorante dell’albergo; io invece esco con Annamaria per comprare della frutta esotica lungo una strada nei dintorni dell’albergo. Due donne, sedute sul marciapiede, hanno l’ultima frutta da vendere: compro delle banane, un mango e dei rambutan.

                                                
 Mango        e          Rambutan 

Rientro in albergo, dove finalmente ho tempo di usare uno dei computer della hall per  collegarmi con i miei cari in Italia. Non riesco ad avere il collegamento per la posta elettronica, ma ci riesco con facebook, che mi consente di inviare messaggi a Maria Elena, a Ignazio, a Giuseppe e a mio fratello.   
Incontro Gabriella, con cui concludo la serata girando per i negozi di abbigliamento dei dintorni. Tutte e tue compriamo a buon prezzo delle camicie di nostro gradimento.
4° giorno 23 ott. giovedì


Lasciamo Hanoi e andiamo nel distretto di Ninh Binh.  Oggi non andiamo a pranzare in un ristorante, ma in campagna, presso una famiglia vietnamita. E’ distensivo raggiungere a piedi il luogo, camminando per un lungo viottolo tra i campi coltivati e recintati da filari di banani, nel silenzio della natura, interrotto di tanto in tanto dall’abbaiare di qualche cane o dallo starnazzare delle oche. Il nostro arrivo è accolto dal frastuono di una fitta moltitudine di oche, disturbate dalla nostra presenza. Una contadina, per tenerle buone e non farle sparpagliare getta loro manciate di granoturco di cui si mostravano ghiotte.
I padroni di casa e Phat ci guidano sotto una tettoia dove ci sono le tavole apparecchiate per noi: il pranzo ci è servito dai familiari, che alla fine ci offrono un liquore fatto in casa, di cui sono orgogliosi. E’ presente anche una giovane mamma con un bimbo di otto mesi in braccio che è ammirato e coccolato da tutti noi. Dopo le foto di gruppo insieme alla famiglia, ci congediamo e raggiungiamo un posto tra i campi, dove sono pronti per noi dei carretti trainati da mucche. 

 La famiglia vietnamita che ci ha ospitato per il pranzo

Il giro in carretto tra campi e villaggi è insolito e divertente, fino ad arrivare  ad un canalone che un tempo alimentava una risaia allagata, non più coltivata. Il luogo è un incanto. File di leggere barchette di canne di bambù, guidate da donne minute, dall’età indefinibile, col capo coperto dal tipico cappello conico, si avvicinano ad un piccolo imbarcadero, invitandoci a salire, due persone per ogni barchetta.
Inizia così una navigazione nell’acqua bassa, tra ciuffi verdi di spighe di riso, in un silenzio irreale, quasi magico. Sopra di noi un cielo pallido, velato; a sinistra e a destra si ergono alture coperte di vegetazione a strapiombo sull’acqua che le rispecchia.
Lo scenario di picchi rocciosi, canali e vegetazione è spettacolare.
Nessuno di noi parla o commenta, come fossimo tutti rapiti dall’incanto del luogo: si sente soltanto il battere dei remi sull’acqua e la voce di qualche uccello che vola alto nel cielo e che l’occhio non vede.  La profondità dell’acqua è di un metro circa. 

 
 
 
La rematrice ogni tanto affonda un lungo bastone, come a voler tastare il fondo. Qualche grosso insetto dalle ali iridescenti vola davanti a noi per posarsi su un filo d’erba. La donnina che rema dietro a me indica invano col dito la direzione dove si trova l’uccello dalla forte voce, ma il mio occhio non vede nulla. Mi basta sentirlo. Il percorso finisce in una grotta, dove entriamo e poi usciamo, che mi ricorda quella di Capri, per l’ampiezza, non per il colore, che non è azzurro. 



Ora le barche fanno la via del ritorno verso l’imbarcadero. Di tanto in tanto mi volgo indietro per guardare la nostra rematrice, che si tocca le braccia per farmi capire che sono stanche. Il giro in barca è durato un’ ora.


La rematrice

Segno sul  quaderno il  nome del luogo incantevole: si  chiama  “Van Long” ed è  una   riserva  naturale, la più  gran-de nel delta del Fiume Rosso. 



Soddisfatti della intensa giornata trascorsa, la sera ceniamo nell’albergo di Ninh Binh.

5° giorno 24 ott. venerdì – Ore 7,00 - Lasciamo la città di Ninh Binh, in cui abbiamo solo cenato e passato la notte, e partiamo con il nostro pullman per la famosa Baia di Halong. Durante il viaggio Phat ci parla delle guerre combattute nelle varie epoche storiche, in particolare di quelle combattute contro i francesi e gli americani. Ci descrive il “Sentiero di Ho Chi Min”, una rete di sentieri sterrati e strade di ghiaia che corre lungo il confine con il Laos, usata originariamente contro i Francesi negli anni 50, come strada d’infiltrazione nel Sud. L’uso più massiccio del sentiero, avvenne però tra il 1966 e il 1971, quando più di 600.000 soldati nordvietnamiti con camion, carri armati, armi, munizioni e 100 tonnellate di provvigioni, lo utilizzarono per andare a sud, in diretta violazione degli accordi di Ginevra del 1962. In più quasi 25.000 soldati proteggevano il sentiero, che venne provvisto di baracche sotterranee, depositi di carburante, centri per la riparazione dei veicoli e postazioni anti-aeree. Tra il 1965 e il 1969, sotto l’amministrazione Nixon, furono scaricati in questa zona 1,1 milioni di tonnellate di esplosivo oltre a grandi quantità di erbicidi.
Phat accenna inoltre ai 250 chilometri di “tunnel sotterranei” costruiti dai vietnamiti nella zona di Cu Chi, presso Saigon, che visiteremo l’ultimo giorno del nostro viaggio.
Arriviamo nella città di Halong, dove, prima di imbarcarci per la crociera nella baia, ci fermiamo a visitare un laboratorio di coltivazione di perle. Nell’ingresso c’è la mappa della famosa baia, dove si allevano le ostriche perlifere, e degli operatori che ci mostrano le delicate fasi della coltivazione.



Alle 12,30 circa arriviamo all’imbarcadero, dove ci attende  la giunca “Aphrodite Cruise” .


Osserviamo come un’operatrice inserisce nel molle tessuto del mollusco dell’ostrica, per un canale ricavato con un bisturi, un nucleo sferico di madreperla, che poi diventerà una perla.


 La nostra giunca

Alle 12,30 circa arriviamo all'imbarcadero, dove ci attende l'"Aphrodite Cruise".

Inizia la navigazione, mentre prendiamo posto ai tavoli per il pranzo. Lo spettacolo è straordinariamente incantevole, direi unico al mondo, superando di gran lunga quanto avevo immaginato prima del viaggio. Mi viene in mente lo stesso stupore provato tanti anni fa durante la navigazione per i fiordi norvegesi, che anche allora avevo immaginato diversi dalla realtà. Le tremila isole della Baia di Halong non hanno l’imponenza delle montagne norvegesi, ma un fascino unico: la nave solca il mare di colore verde, su cui si specchiano le isole coperte di vegetazione. Dovunque giriamo lo sguardo, a poppa, a prua, dalle vetrate della sala da pranzo, oppure dalle ampie finestre della nostra cabina, mentre riposiamo distesi sui comodi letti, vediamo sfilare davanti ai nostri occhi scogli grandi come montagne o più piccoli, tutti diversi, nitidi e verdi quelli più vicini a noi, velati e azzurrini quelli più lontani, ma tanti e tanti a perdita d’occhio. Che pace, che silenzio intorno!


 
Una barca ci porta a visitare in una delle isole una grotta con stalattiti e stalagmiti. Una scaletta naturale ci fa salire più in alto fino a raggiungere un lago racchiuso tra rocce, più alto rispetto al livello del mare. Lo scenario del lago e della baia, visti dall’alto è stupefacente.



Lago al di sopra del livello del mare nella Baia di Halong


  E barchette leggere di bambù ci portano a visitare le case galleggianti dei pescatori, costruite su zattere.


Nella Baia di Halong vi sono quattro villaggi di pescatori con una popolazione che prima contava tremila abitanti ed ora ne conta 1600.  L’acqua potabile viene loro portata ogni mattina al prezzo di mezzo dollaro a bidone. I pescatori, oltre alla pesca, si dedicano anche all’allevamento di pesci.


"Ha Long" significa "dove il drago scende in mare". Una leggenda dice che molti anni fa i vietnamiti stavano combattendo gli invasori cinesi; gli dei mandarono una famiglia di dragoni per aiutarli. Questi dragoni iniziarono a sputare gioielli che si trasformarono nelle isole ed isolotti che punteggiano la baia, unendoli poi per formare una muraglia contro gli invasori. Le persone salvarono la propria terra e la trasformarono in quello che poi sarebbe diventato il Vietnam.
Calata la notte, ci ritiriamo nelle nostre cabine. Non ho sonno e mi attardo a guardare alla finestra lo scorrere delle isole che ora appaiono nere e misteriose. Attratti dalla luce della giunca, dei pesci rossi nuotano lungo la fiancata, come a volerci fare compagnia nel nostro viaggio. Poi mi addormento, ma prima dell’alba mi sveglio al rumore della pioggia e, incuriosita, mi affaccio alla finestra. Lo scenario è cambiato ed è altrettanto magico come quello diurno: la pioggia, illuminata dalla luce della giunca, brilla cadendo in mare e i pesci rossi continuano a nuotare seguendo la scia delle luci.

 SECONDA PARTE

Piatti serviti con gusto artistico sulla giunca
6° giorno 25 ottobre 2014 sabato

E’ spuntato un nuovo giorno. Dopo colazione, lasciate le  cabine, ci godiamo ancora il panorama prima di raggiungere il molo di Halong e riprendere il nostro pullman.  Sono le ore 10,00.
Dopo due ore di viaggio, attraversiamo a piedi dei campi di riso, fino ad arrivare al villaggio di Ninh Giang, presso una famiglia contadina, per il pranzo. 

Poi raggiungiamo il vicino “Teatro delle marionette sull’acqua”, dove assistiamo ad uno spettacolo di antica tradizione contadina,  risalente all’XI secolo, che oggi è in via di estinzione. 


In una piscina del villaggio pupazzi colorati di legno ballano, accompagnati da musica, animazione e canto, ed eseguono scene di vita contadina. Alla fine appaiono i manovratori, immersi nell’acqua fino al petto, per ricevere gli applausi dei turisti. 




Riprendiamo il nostro viaggio in pullman percorrendo la strada che costeggia il delta del Fiume Rosso, che nasce in Cina ed entra in Vietnam, scorrendo presso la capitale Hanoi. Lungo la strada ci fermiamo per visitare un laboratorio dove lavorano ragazzi disabili, impegnati nel ricamo per la creazione di quadri, esposti in un salone per la vendita.
Giunti all’aeroporto partiamo con un volo di linea per la città di Hué, dove ci attende un’altra guida, di nome Mi, che ci accompagna nel moderno “Moonlight Hotel Hué” per la cena e il primo pernottamento.

7° giorno 26 ottobre 2014 domenica



Dalle ampie vetrate del ristorante, prima di fare colazione, mi soffermo a guardare dal 14° piano il bel panorama della città di Hué, solcata dal “Fiume dei Profumi”. Poi guardo il ricco banco dei cibi della colazione. Mi alletta la frutta locale, che ho imparato a conoscere, e me ne riempio il piatto: frutto della passione, rambutan, papaia, frutto del Drago, ananas.



 Ieri, durante una passeggiata a piedi nel villaggio di Ninh Giang, ho fatto una scoperta incredibile: i frutti del Drago, che prediligo tra quelli asiatici, sono prodotti da una pianta grassa che da tanti anni tengo sia in piena terra che in un vaso nel balcone. La sua fioritura è spettacolare a settembre, ma nel nostro paese la pianta non dà frutto. Il fiore, grande e stupendo, dura soltanto dall’alba al tramonto, ma io lo rendo immortale con le foto. Il mio cruccio è sempre stato di non aver mai conosciuto il nome della pianta.
In Vietnam ho visto la pianta, il fiore e il frutto e finalmente ne ho conosciuto il nome.
Dopo colazione la mattinata è dedicata al giro della città in pullman. La guida mostra le case dall’architettura prevalentemente di stile francese e cita un proverbio locale che dice: ”Mangiare cibo cinese; sposare donna giapponese; vivere in casa francese”.
Poi ci guida alla Città Imperiale, raccontandoci per sommi capi la storia dell’impero vietnamita, che dal 932 al 1802 ebbe come capitale Hanoi e cinque dinastie.
La dinastia Nguy?n fu l'ultima dinastia imperiale vietnamita,  comprendente 13 sovrani che regnarono sul Vietnam dal 1802 al 1945, sotto la dominazione dei francesi, che colonizzarono il Vietnam il Laos e la Cambogia sotto il nome di Indocina.
Il primo imperatore della dinastia Nguy?n, che regnò dal 1802 al 1820, trasferì la capitale da Hanoi a Hué, perché ad Hanoi, troppo vicina al confine con la Cina, temeva la pressione della potenza cinese. Dal 930 al 1802 il Vietnam aveva subito parecchie invasioni sia da parte dei mongoli di Gengis Khan che dei cinesi.  Nella nuova capitale, quasi al centro del paese, si sentiva più sicuro.
Dal 1804 fino a 1833 costruì la Cittadella, a 5 km dalla città, impiegando 20 mila operai.  


 La guida mostra una pianta della città, che occupa una superficie di 40 ettari. Vi sono segnati tre quadrati, uno dentro l’altro: in quello esterno, più grande, c’è la Cittadella, con dieci porte di ingresso, attualmente abitata da 80 mila persone; all’interno della Cittadella c’è la Città Imperiale e nel quadrato più piccolo, la Città Proibita, in cui vivevano la regina madre, l’imperatrice, le concubine e gli eunuchi. Nessuno vi poteva entrare, pena la morte. 
La Città Imperiale e la favolosa Città Proibita, sono un insieme di palazzi, padiglioni, templi, stagni, giardini, cancelli e sale.

Dopo le spiegazioni della guida ci prendiamo una pausa davanti ad uno dei padiglioni.




Dopo le spiegazioni della guida ci prendiamo una pausa davanti ad uno dei padiglioni.
Il complesso monumentale di Huè, memoria di antico splendore, è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1993.

Un po’ di storia: Huè e l'offensiva del Tet

 Nel 1968 la città imperiale fu distrutta in gran parte durante quella che è passata alla storia come l'offensiva del Tet. Per il Tet, il capodanno lunare che si festeggia alla fine di gennaio, era stata annunciata una tregua di 48 ore. Ma il 30 gennaio, di sorpresa, il Fronte nazionale di liberazione e l'esercito nordvietnamita lanciarono l'attacco più massiccio che la storia della guerra vietnamita ricordi, annichilendo e distruggendo gli apparati bellici e il morale degli avversari, sconcertando le strategie nemiche sul campo di battaglia, piegando un esercito di oltre 1.300.000 soldati ben equipaggiati e determinando le condizioni favorevoli per l'esercito e il popolo vietnamita di rafforzare gli attacchi per la liberazione di vaste zone rurali. Molti storici europei considerano questo come il più amaro fallimento militare degli Stati Uniti nella guerra di aggressione contro il Vietnam, che mette in luce da un lato la debolezza e l'impotenza del regime di Saigon e dall'altro il coraggio e la fiducia del popolo e dell'esercito vietnamita sul campo di battaglia nonché l'abilità di condurre lo scontro rivoluzionario.
Nel gennaio 1969 incominciarono colloqui ufficiali a Parigi e nel settembre il Presidente americano Nixon annunciò l'avvio di un graduale ritiro statunitense. La guerra finì solo il 30 aprile 1975

 

 Viali, giardini, vasche di pesci rossi e di ninfee ingentiliscono l’atmosfera della città Imperiale.
  
Usciti dalle mura di cinta della città imperiale troviamo una fila di ciclorisciò pronti per un divertente giro.





Il giro ha come meta la vecchia casa con giardino di un mandarino, ora proprietà di  una nipote, di età avanzata. Il giardino è curatissimo e ricco di fiori esotici.
 
La nipote del mandarino e l’altare della casa con le offerte





La torre a sette piani della Pagoda è il simbolo di Hué. Si trova su di una collina, vicino al Fiume dei Profumi. La leggenda narra che nel 1601 un indovino previde che colui che avrebbe costruito la pagoda vicino al fiume, sarebbe stato il caposti-pite di una gran dinastia. Nhuyen Hoang, governatore della provincia di Thuan Hoa, seguì le indicazioni e la previsione si avverò; la dinastia Nguyen fu l'ultima dinastia imperiale, e regnò in Vietnam fino al 1945.
Il pomeriggio è dedicato alla visita della Tomba dell’imperatore Minh Mang, costruita dal 1840 al 1843 su una superficie di 18 ettari. E’ circondata da un muro che racchiude all’interno monumenti, palazzi, templi, padiglioni, giardini bellissimi, laghetti, e ponticelli che creano un’atmosfera  di pace e di serenità.



Tomba dell’imperatore Minh Mang


E' rilassante  passeggiare in quest'oasi incanevole di pace e fotografare il paaesaggio più che i monumenti.



 Concludiamo la serata in un locale tipico con una cena allietata dal suono di  strani strumenti musicali in mano a tre aggraziate signore.
     
 

 8° giorno 27 ottobre 2014 lunedì

Lasciamo Hué percorrendo una strada costiera che porta al Passo delle Nuvole, con una bella vista sul mare, salendo fino ad un’altitudine di 500 metri. I monti sono coperti da una fitta vegetazione. Percorriamo la strada che costeggia la città di Da Nang, dove di vedono palazzine di nuova costruzione. I prezzi degli appartamenti sono elevati e l’acquisto è vietato agli stranieri, che possono soltanto prenderli in affitto. La guida ci indica una casa grigia a due piani facendoci notare che non ha finestre: è una casa costruita appositamente per le rondini perché vi facciano il nido, di cui i vietnamiti sono ghiotti.
Spiega che i nidi di rondine, creati con la saliva, vengono puliti e conservati come se fossero una pasta, ma durante la cottura assumono una consistenza gelatinosa e trasparente. Ricchi di ferro, potassio e magnesio, sono considerati una prelibatezza culinaria per le popolazioni dell’estremo oriente.
Sono sconcertata della mia ignoranza e all’idea di poterli mangiare: credevo che fossero una pasta di grano a forma di nido!


Arriviamo nella bella spiaggia sabbiosa di Da Nang, dove sostiamo il tempo per una passeggiata sulla battigia e per qualche foto presso le barchette circolari dei pescatori.
Proseguiamo fino ad arrivare alla città di Hoi An, situata a 30 km a sud di Da Nang. La guida Mi ci fa visitare un laboratorio di ricami e poi ci accompagna al ristorante.
 Lasciamo il pullman in una strada dove è possibile parcheggiare e proseguiamo a piedi per raggiungere il centro storico.
Bagnata dal Fiume Thu Bon, fu un importante porto commerciale sin dal II secolo d.C., sotto il regno Champa. Decaduta nel XIV secolo, riprese la sua funzione di emporio internazionale verso la metà del secolo XV, quando da qui transitavano velieri di mercanti olandesi, portoghesi e giapponesi. Fu solo nel XIX secolo,  che la città perse importanza a favore di Da Nang, che sorge 30 km a nord. Le diverse influenze operate dalle culture straniere su quella autoctona vietnamita hanno creato un’incantevole e suggestiva miscela architettonica, riconosciuta anche dall’Unesco.
Raggiunto il centro storico, la guida Mi ci raduna in un ponte coperto di legno,  costruito dai giapponesi sul fiume Thu Bon nel 1593 per unire il quartiere giapponese con quello cinese.   Il ponte è diventato l’immagine principale di Hoi An.

Ponte di legno giapponese


Ponte di legno giapponese all’interno



 
 Dopo il pranzo in un ristorante è interessante la visita ad una delle abitazioni antiche più belle della città vecchia di Hoi An, che conserva internamente i vecchi mobili in legno intagliato.


Nel quartiere cinese visitiamo un tempio costruito nel 1653, dedicato a Quan Cong, un generale cinese stimato e adorato come simbolo di lealtà, sincerità, integrità e giustizia. Nel cortile c’è una fontana a forma di drago. Sul fondo una sala con la statua del generale affiancata da quella della Dea del Mare e del Dio della Fortuna.



E’ molto interessante ammirare gli edifici di valore storico, passeggiando per le sue incantevoli stradine, fiancheggiate da pagode, case di mercanti, case porticate di stile francese, case basse tegolate, costruite in legno e decorate con tavole laccate e pannelli con caratteri cinesi.

Terminate le visite guidate, Mi ci lascia liberi di fare shopping nel centro storico per radunarci, all’ora concordata, nel ponte giapponese e tornare al nostro pullman che ci porterà nell’albergo fuori città.
 Ci incamminiamo in libertà per le strade pedonali, dove i negozi si susseguono uno dopo l'altro, ricchi di ogni mercanzia e ornati con coloratissime lanterne cinesi
Hoi An ci appare una piccola città a misura d’uomo, che non conosce il ritmo frenetico delle grandi città, dandoci la sensazione di tornare indietro nella storia.
Abbiamo il tempo di sostare su un ponte e guardare il fiume di colore giallo, le barche da pesca ormeggiate e le barchette leggere di legno guidate da uomini o donne col caratteristico cappello conico, che garbatamente invitano i turisti a una passeggiata sull?acqua.
di colore giallo, le barche da pesca ormeggiate e le barchette leggere di legno guidate da uomini o donne col caratteristico cappello conico, che garbatamente invitano i turisti a una passeggiata sull’acqua.


  Secondo l'uso vietnamita, la sposa indossa un abito rosso prima della celebrazione del Matrimonio. Il colore rosso significa felicità, amore, fortuna. 


Una coppia di novelli sposi posano per la fotografia


Fruttivendole per strada 


Verdure crude e cibi cotti in vendita all’aperto



Il nostro albergo, fuori Hoi An, è nuovo e moderno e circondato da un giardino lussureggiate e ben curato.

9° giorno 28 ottobre 2014 martedì


Stanotte mi sono affacciata al balcone perché ho sentito scrosciare la pioggia, ma stamattina è spuntato il sole.
Riprendiamo il nostro viaggio per visitare i resti archeologici dell’antico regno dei “Champa”, che fiorì nell'attuale Vietnam centro-meridionale.

Durante il percorso in pullman qualcuno chiede alla guida di parlarci della famiglia vietnamita e se c’è un controllo dello Stato per quanto riguarda le nascite, come in Cina.
La guida spiega che il controllo c’è per quanto riguarda le famiglie degli impiegati statali che vivono in città. Questi possono avere soltanto due figli; se ne nasce un terzo lo Stato punisce l’impiegato trasferendolo in campagna e bloccando gli aumenti di stipendio.
I lavoratori della campagna hanno generalmente tre o quattro figli.
Gli stipendi degli impiegati statali sono modesti e quasi uguali per tutti; i liberi professionisti hanno invece guadagni superiori
Un’altra domanda che viene fatta a Mi è se la proprietà privata viene riconosciuta dallo Stato. La risposta è che la proprietà privata viene riconosciuta con la Costituzione del 1992. Alle famiglie dei contadini sono state assegnate le terre in ragione di mq 500 a persona. Prima della costituzione, se i figli dei contadini lasciavano la campagna per trasferirsi altrove, la loro quota veniva restituita allo Stato e ridistribuita.
Prima di arrivare al sito archeologico dei champa ci fermiamo presso una casa rurale dove una donna mostra agli amanti della culinaria come si fanno le gallette di riso.  Abbiamo così l’occasione di vedere come una famiglia vietnamita vive in campagna.


Dell’interno della casa vediamo solo i vani rustici delle masserizie, il posto dei maiali con la cucciolata dei maialini, delle colombe messe a covare, mentre i polli gironzolano liberamente attorno alla casa.
Torniamo al nostro pullman un po’ bagnati di pioggia e andiamo a visitare il sito archelogico dei Champa.
Inizialmente i Champa furono strettamente legati alle tradizioni culturali e religiose della Cina. Nel IV secolo furono influenzati dalla cultura indiana e adottarono il sanscrito come lingua colta e l'Induismo, e in particolare il culto di Shiva, che divenne religione di Stato.



 Le principali fonti sulla storia del regno dei Champa sono le rovine di edifici costruiti in mattoni e le sculture in pietra, le iscrizioni su stele o superfici in pietra, in lingua ch?m o in sanscrito, e i resoconti degli storici o i documenti diplomatici vietnamiti e cinesi. Oggi in Vietnam i Champa sono 150 mila.   
Una tabella all’ingresso del sito mostra la foto del complesso monumentale, che si chiama “My Son”.
La pioggia ricomincia a cadere fitta costringendoci a sostare al riparo di una tettoia. Le rovine del tempio sono a poca distanza da noi, velati dal grigiore del cielo.  










Cessata momentaneamente la pioggia, coperti da impermeabili di cellofan, ci avviciniamo alle rovine insieme a Mi, riuscendo a scattare qualche foto.
La traccia più antica di monumenti di culto è la stele con iscrizione del IV secolo in cui il re Bhadravarman annuncia la fondazione di un tempio dedicato a Shiva. Questa fondazione ha un particolare rilievo storico, in quanto il complesso religioso di My Son era il principale luogo di culto dei sovrani del regno Champa, nonché il luogo dove venivano cremati. Della prima fase di esistenza del complesso monumentale non rimane nulla, perché tutte le strutture furono costruite in legno e altri materiali deperibili.
Le epigrafi cham parlano di edifici in laterizi solo a partire dal VII secolo.
Degli 11 gruppi di monumenti conosciuti, il più antico è quello che risale all’ VIII secolo. Nel 1999 l'UNESCO lo ha inserito tra i patrimoni dell'umanità.

Tornati  a Hoi An per il pranzo,  facciamo un giro in barca per il fiume che passa per la città, permettendoci di vedere tutte le case che si affacciano sulle sponde. Quando qualcuno avvista delle cicogne sulla riva ci avvisa per poterle fotografare. 


 Finito il giro si pone il problema di come passare il resto della giornata.
Secondo il programma prestabilito si dovrebbe raggiungere in bicicletta un villaggio a 13 km da Hoi An, per incontrare uno scultore locale e vedere la lavorazione artigianale delle stuoie e anche visitare un villaggio di pescatori.
Quasi nessuno sa andare in bicicletta e ci pare avventata una simile l’idea, considerando la non più giovane età della maggior parte del gruppo. Serpeggia il malumore tra di noi appena ci rendiamo conto, con una telefonata all’agenzia turistica, che una variazione al programma non è possibile. Per qualcuno del gruppo il malumore si trasforma in una crisi di nervi.
Per quanto mi riguarda, a me piacerebbe passare la serata nel centro storico di Hoi An e rivedere di sera le stesse vie percorse il giorno prima, senza la preoccupazione degli acquisti, perché ormai non c’è niente di nuovo da comprare. Anche gli altri ad uno ad uno si persuadono che restare ad Hoi An è la cosa migliore, la tensione si allenta e ci apprestiamo a riconquistare la città di sera: al calar del buio le luci colorate delle lanterne cinesi si accendono, creando un’atmosfera magica.
Sostiamo sul ponte illuminato godendoci lo spettacolo dell’acqua piena di riflessi.



All'approssimarsi del tardo pomeriggio, in riva al fiume, iniziano i preparativi per la costruzione e la vendita dei contenitori di carta che avvolgono i lumini da rilasciare nel fiume in segno beneaugurante o per esprimere un desiderio.




   Promessi  sposi in  un  romantico  giro in barca.  Auguri di felicità, amore e 
   fortuna!




E’ calata la sera e una vecchina offre in vendita i suoi lumini.

Un’altra promessa sposa in abito rosso con i lumini dei desideri.
Auguri alla coppia!


 
10° giorno  29 ottobre 2014 mercoledì
Lasciamo la città di Hoi An, che non dimenticherò. Un aereo ci porta a Ho Chi Min che, con i suoi 12 milioni di abitanti, è la più popolosa città del Vietnam.



I Vietnamiti preferiscono chiamarla col vecchio nome, Saigon, che è pure il nome del fiume che la bagna. Attraversando la città in pullman ci ha sconvolto la frenetica e circolazione dei motorini, molto più massiccia a confronto di quella di Hanoi, che ci aveva già meravigliato. Rivedendo le riprese della telecamera, non riesco a fissare un solo motorino, tanto veloci scorrono i fotogrammi. Mai visto uno spettacolo simile!


Quando vedo talvolta passare sopra la mia casa stormi di uccelli migratori, così fitti, mi chiedo come fanno a non urtarsi tra loro. Ora mi pongo la stessa domanda per i motorini che sfrecciano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, si fermano davanti al rosso dei semafori e scattano al verde come una valanga irrefrenabile.
Abbiamo poco tempo per vedere Saigon. La nostra guida è un giovane di nome An: parla bene l’italiano per averlo studiato a Perugia con una borsa di studio datagli dallo Stato per i suoi meriti. Insegna italiano all’università di Saigon e arrotonda il modesto stipendio quando le agenzie turistiche lo chiamano per fare la guida o la traduzione simultanea, quando arrivano in Vietnam i personaggi politici italiani.
Essendo già le ore 13,00, An ci accompagna al ristorante per il pranzo; poi camminiamo a piedi alla scoperta della città.  


Seguendo la guida entriamo in un grosso mercato cinese all’ingrosso che ci pare una bolgia infernale indescrivibile: uomini donne, ragazzini svolgono tutte le loro attività in piccoli spazi in  mezzo a cataste di merce:  cucinano, mangiano, usano la calcolatrice appoggiati a uno sgabello, annotano conti sul registro, si appisolano distesi in un angolino sul pavimento. 



Non vediamo l’ora di uscire fuori all’aria aperta e alla luce del sole!
La guida ci fa fermare davanti a una pagoda cinese, costruita nel XIX sec., ornata da moltissime statue di ceramica trasportate dalla Cina.
La sera, mentre imperversa una forte pioggia, saliamo sul pullman che ci  porta al ristorante  Chill Skybar per la cena, che viene servita al 27° piano di una torre: dalle pareti di vetro si gode un panorama fantastico della città illuminata.





11° giorno  30 ottobre 2014 giovedì

Alle 8,30 lasciamo l’albergo (Aquary Hotel) per un giro nel centro di Saigon. Il sole è splendido e fa caldo.
Durante il percorso la guida An critica il governo comunista del suo paese che non lascia alcuna libertà ai cittadini. An non va mai a votare perché le votazioni sono una pagliacciata: i candidati sono scelti dal partito e le cariche sono già prestabilite. Racconta che una volta un candidato morì prima delle votazioni, e venne eletto, poiché il suo nome non era stato rimosso dalla lista. 






Scesi dal pullman arriviamo a piedi davanti al cancello del Palazzo della Riunificazione, noto anche come Palazzo dell'Indipendenza, in cui avvenne la storica riunificazione tra il Vietnam del Sud e quello del Nord. La mattina del 30 aprile 1975 vi entrò il carro armato 843 dei Vietcong, che occuparono il palazzo che era stato la sede del presidente del Vietnam del Sud, fuggito precipitosamente all'estero nove giorni prima. Ad attendere i militari c'era il suo secondo successore, che non poté fare altro che arrendersi. Era rimasto in carica per sole 48 ore. Il carro armato è ora parcheggiato nel cortile del palazzo, come si vede nella foto.



 Attraversata una grande piazza, ci troviamo davanti alla Cattedrale di Notre Dame,  costruita dai Francesi verso la fine del XIX secolo.

 Vicino alla Cattedrale c’è l’ Ufficio Centrale della Posta, uno degli edifici più belli di Saigon. 


 Progettato dal famoso architetto Gustav Eiffel, quello della famosa Torre Eiffel, era una chiara affermazione di potere degli imperialisti francesi ai tempi dell’Indocina.



    La formica e l’elefante





Durante il tempo trascorso a Saigon, An ci parla dei difficili rapporti del Vietnam con la Cina, riguardanti il possesso di due arcipelaghi al largo delle coste vietnamite e lontane dalle coste cinesi. Il mare che bagna i due paesi viene chiamato, nelle carte geografiche cinesi, “Mar Cinese Meridionale”, mentre in quelle vietnamite viene chiamato “Mare dell’Est”.
Dal 2009 è stato un susseguirsi di incidenti in mare, di restrizioni sulla pesca con  proteste e arresti. Tra i più importanti An cita le proteste contro la Cina del 2009 in seguito all’arresto di due pescatori vietnamiti colti a pescare nonostante il divieto cinese; quelle del 2011 causate dalle esplorazioni vietnamite in acque contese. In seguito all’affondamento di un battello vietnamita ad opera di un mercantile cinese le relazioni tra i due stati si sono ulteriormente deteriorate. Alcuni membri del partito comunista di Hanoi premono sul capo del governo al fine di limitare la sfera di influenza di Pechino sul paese. La guida An sostiene che il governo non è in grado di alzare la voce perché l’economia del Vietnam dipende molto dal potente vicino, paragonando la lotta tra i due paesi contendenti a quella che potrebbe esserci tra una formica e un elefante!
Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, apprendiamo da An che gli ospedali statali in Vietnam sono sovraffollati e possono garantire soltanto l’assistenza di base, facendo pagare ai ricoverati il 20% delle spese. I malati di tumore, accertata la malattia, vengono dimessi e si curano in casa con medicine tradizionali ricavate dalle erbe.  Chi ha possibilità economiche si rivolge alle cliniche private, che godono di buona fama.
Pranziamo in un ristorante all’aperto, circondato dal verde delle piante e ornato da stupendi fiori esotici, in riva ad un canalone con un ponticello.


Ci resta ancora tutto il pomeriggio da passare in Vietnam, prima di prendere l’aereo per il ritorno in Italia. Approviamo con An una variazione al programma per potere visitare i tunnel di Cu Chi, che si trovano a 30 km da Saigon.

 I tunnel di Cu Chi sono un’immensa rete sotterranea di gallerie, costruita negli anni 40 durante l’occupazione francese ed estesa negli anni 60 e 70 durante la guerra contro gli americani. Questi tunnel, che si diramano nel sottosuolo per oltre 250 km, servirono come rifugi durante le micidiali incursioni belliche americane e consentirono le comunicazioni e il coordinamento dell’esercito vietcong nel sud del paese. Erano una vera fortezza sotterranea, dotata di tutto l’essenziale, dove i vietnamiti potevano restare rintanati per mesi.




Le gallerie di Cu Chi costituiscono uno dei grandi siti storici della guerra del Vietnam e ci rivelano la tenacia e l‘ingegnosità dei partigiani vietnamiti, che seppero affrontare con risorse minime uno degli eserciti più potenti e sofisticati del mondo.
La regione di Cu Chi è stata la più devastata dalle bombe defoglianti e dal napalm ed è chiamata il “Triangolo di ferro” non solo per gli attacchi a tappeto che dovette subire, ma soprattutto per la ferrea determinazione e l’orgoglio dei suoi combattenti.  

       


An scopre una piccola botola sul terreno, nascosta dalle foglie: si cala giù,  chiude la botola sopra di sé e scompare, non lasciando alcuna traccia.


 A noi turisti è consentito percorrere un tratto di 15 m, che è stato appositamente allargato per rendere il percorso meno angusto per persone di statura più grande rispetto a quella dei vietnamiti.
Molti di noi si calano ad uno ad uno sotto terra per una scaletta e anch’io scendo giù, ma il caldo umido soffocante che esce dall’ingresso mi fa desistere e torno indietro.
La guida An ci mostra anche la ricostruzione delle ingegnose e crudeli trappole ben mimetizzate nel fogliame della giungla, dove incappavano i soldati americani. 







Foto di una giovanissima guerrigliera vietnamita



La capanna nasconde l’ingresso a un tunnel 




Restiamo ancora a Cu Chi, camminando a piedi per i sentieri della giungla. Ci riposiamo un po’, seduti ad un tavolo rustico, dove sono in mostra alcuni tuberi di manioca e poi riprendiamo il nostro cammino per raggiungere il pullman.  Attraversiamo Saigon in mezzo ad una marea di motorini e raggiungiamo l’aeroporto.  Ora possiamo dire addio al Vietnam e volgere i nostri pensieri al ritorno in Italia.

                                                                                                                                    
      Fine

                                                                                              Sciacca 22 novembre 2014
  

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