giovedì 16 aprile 2009

06 - Quando morirà Rossini?

Sciacca 23 giugno 2003

Ecco un’altra storia vera, ma non ancora conclusa.

Prima parte

Alcuni anni or sono, nel silenzio della notte tutti a letto, prima di prendere sonno sentimmo il miagolio incessante di un gattino provenire da fuori. Da alcuni anni non avevamo gatti in casa, né desideravamo allevarne per i danni che arrecano alle cose. Le poltrone di pelle graffiate, le coperte di lana danneggiate e qualche strappo ai lenzuoli, ecc. ne sono ancora un ricordo. Morta l’ultima gatta all’età di tredici anni, avevo deciso che nessun gatto sarebbe entrato nella mia casa.
Sentimmo quel miagolio notturno fino a quando non ci addormentammo. L’indomani, al risveglio, risentimmo il miagolio. Giovanni, che ora non è più tra i vivi, fu il primo ad uscire di casa e lo vide. Ci chiamò per mostrarci la bestiola che aveva pianto tutta la notte. Era una gattina nera di alcuni mesi che si era allontanata dalla sua mamma e non aveva saputo trovare la via del ritorno. Scendemmo tutti giù per vederla. Che tenerezza! Era mite e desiderosa di coccole. Se qualcuno di noi le tendeva una mano, con un saltino lei la raggiungeva per toccarla e farsi lisciare. Giovanni era molto tenero con i gatti e manifestò il desiderio di volerla tenere con noi. Anche a me faceva tenerezza, come tutti i cuccioli, ma non volevo avere più a che fare con i gatti. Arrivammo ad un accordo: avremmo tenuto la gattina all’aperto. Avrebbe dormito nel porticato della casa e scorazzato liberamente nel terreno non recintato che circonda la casa. Anche mia madre, che abita in una villetta di fronte alla mia, accettò il nuovo ospite, non per tenerezza, ma per tornaconto. Mia madre abita in un piano rialzato e teme che i topi possano entrare in casa. La gattina, crescendo, li avrebbe tenuti lontani. Lei anzi si assunse il compito di provvedere al suo nutrimento quotidiano.
Così la bestiola, che fu chiamata Nerina per il colore uniforme del suo pelo, rimase con noi e non pensò di cercare la sua mamma e i suoi fratellini. Era molto affettuosa e destava curiosità il modo di cercare le nostre mani per farsi accarezzare. Come il primo giorno, bastava tendere a distanza una mano verso di lei per vederle spiccare un salto per toccarla. La mano allora si abbassava sulla sua testa e la lisciava ripetutamente. Per farla saltare più in alto tenevamo la mano più lontano. Lo fa ancora oggi.
Dopo alcuni giorni sulla spiaggia di Sovareto incontrai la signora Lina con sua figlia Enza, che abitano in una villetta distante alcune centinaia di metri dalla nostra (anche la spiaggia è vicina). Tra le varie chiacchiere vacanziere divagai sulla gattina nera, che era diventata nostra ospite. Enza disse con sollievo che Nerina apparteneva ad una cucciolata della sua gatta, pure nera come tutti i cuccioli, che l’aveva cercata nei dintorni per alcuni giorni e che si era dispiaciuta di non averla ritrovata. Le promisi che le avrei restituito il cucciolo nella stessa giornata. Dopo qualche esitazione Enza, rassicurata che l’animale stava bene con noi, mi disse che potevo tenerlo.
Dopo qualche settimana, per uno strano gioco del destino, un altro cucciolo capitò nella nostra casa. Giovanni si era recato come ogni mattina nel suo studio legale, nel centro storico della città. Parcheggiava l’auto nella vicina piazzetta Farina da dove la rimuoveva per tornare a casa all’ora di pranzo. Io mi ero attardata nel porticato in attesa che egli rincasasse. Fermata l’auto all’ombra dell’ampio porticato, vedemmo guizzare da sotto un gattino rosso spaventatissimo. Si allontanò di qualche metro da noi e si mise a piangere guardandosi intorno smarrito. Si era nascosto all’interno del motore, saltandovi da sotto l’auto, e vi era rimasto intrappolato fino a quando l’auto non fu giunta a casa nostra.
La curiosa faccenda ci sembrò facile da risolvere: bisognava riportare il gattino nella piazzetta Farina, dove avrebbe ritrovato la sua mamma e i fratellini. Ma la cosa non andò così. A differenza di Nerina, il nuovo arrivato era selvatico e non si faceva avvicinare. Al mio tentativo di prenderlo si aggrappò con le unghie a un tronco di ulivo e si mise in salvo su un ramo. Più tentavo di avvicinarmi a lui e più in alto saliva fino ad arrivare all’ultimo ramo. E ve lo lasciammo, dovendo noi rientrare a casa per il pranzo. Prima o poi avrebbe preso confidenza e saremmo riusciti a prenderlo. Era un maschio della stessa taglia di Nerina. Nei giorni seguenti si ripeterono inutilmente i tentativi per prenderlo. Il gattino mangiava di nascosto nella ciotola di Nerina e così decidemmo di tenere anche lui. Ignazio, mio figlio lo chiamò “Rossini” per il colore del suo mantello.
Nerina e Rossini familiarizzarono presto. Giocavano insieme, dormivano abbracciati, creando un piacevole contrasto di colori (il rosso e il nero), si leccavano vicendevolmente. Mentre Nerina cercava la compagnia umana, Rossini al contrario la schivava. Raggiunta l’età adulta, Nerina rimase di taglia piccola, mentre Rossini era diventato un bel gattone dal pelo morbido e lucido. Durò una sola stagione la bellezza e la felicità di Rossini.
I guai cominciarono quando iniziò il periodo del calore. Nerina, l’unica femmina dei dintorni, attirò tre grossi maschi: uno bianco con la coda macchiata di nero, il secondo bianco a chiazze nere, il terzo nero a chiazze bianche.

Che brutti ceffi! Sporchi e agguerriti iniziarono la battaglia per conquistare Nerina. Nel silenzio della notte si sentivano gli urli di terrore o di difesa. Le battaglie si ripetevano anche di giorno. Io non me ne curavo, fin quando un mattino vidi Rossini conciato male. Aveva uno squarcio nella pelle sotto la gola e una zampa ferita e zoppicante. Mia madre lavò il pavimento della sua veranda, dove c’erano macchie di sangue.

Eravamo tutte e due dispiaciute che il nostro Rossini non si fosse fatto valere e le avesse buscate. Terminate le battaglie, i tre brutti ceffi sparirono, Rossini si curò le ferite e tornò a rifiorire come prima e a giocare con Nerina come fratello e sorella.

Dalla prima battaglia sono passati parecchi anni. Come ogni anno ritornano le stagioni, così le battaglie si ripetono più volte l’anno con le immancabili sconfitte di Rossini, che non si riconosce più. E’ dimagrito, spelacchiato e coperto di cicatrici. Tra una battaglia el’altra non ce la fa a riprendersi. Vive nel terrore. Dei tre brutti ceffi quest’anno è rimasto solo quello nero a chiazze bianche che pare si sia fermato stabilmente nel nostro terreno. Rossini è l’ultimo a mangiare nella ciotola comune i resti lasciati da Nerina e dal Ceffo (ormai lo chiamo così).
Io mi sono presa a cuore la sorte del gatto rosso. Vorrei intervenire per difenderlo, ma non so come fare. Il Ceffo pare che abbia giurato a se stesso di ucciderlo. Calore o non, le battaglie continuano in qualsiasi tempo. Talvolta mi capita di assistere da vicino alla lotta e fremo nella difesa del povero imbelle. Quando mi capitano a tiro apro improvvisamente il rubinetto a cui è attaccato un tubo flessibile e scaglio contro di loro un getto di acqua a pressione per dividere i lottatori che fuggono via. Ma la tregua dura fino a quando io non mi allontano.
Rossini si mette a gridare ogni volta che vede il Ceffo, anche a distanza. Fugge su un albero, ma il nemico lo raggiunge lo stesso. Vorrei trovare una soluzione, che però mi sfugge. Se Rossini morisse al più presto, finirebbe la tortura e ne proverei sollievo. Se morisse il Ceffo non si risolverebbe niente, perché un altro verrebbe a prendere il suo posto e la lotta continuerebbe come prima. Se non ci fosse la femmina Nerina non ci sarebbe lotta e Rossini vivrebbe in pace.
Mia madre, che ascolta le mie apprensioni, mi dice: “Non c’è niente da fare. Lasciamo ai gatti risolvere i loro problemi secondo le leggi di Madre Natura. E’ Lei che ha creato i deboli e i forti e noi umani non possiamo lottare contro le leggi della Natura. Non ha colpa il Ceffo se è più forte e vince; non ha colpa Rossini se è stato creato debole e soccombe e soccomberà sempre fino alla morte.
Mi convinco che mia madre ha ragione e allora mi chiedo: “Quando morirà Rossini?”


Seconda parte

Un giorno affiorò all’improvviso nella mia memoria l’immagine di un gatto, morto da tempo, con un collarino di cuoio irto di chiodi. Glielo aveva messo la sua padrona per proteggerlo dai suoi simili più grandi di lui e prepotenti. Perché non fare la stessa cosa con Rossini? Se ci avessi pensato prima, quante ferite gli avrei evitato!
Senza por tempo in mezzo, presi un cinturino di cuoio dal ripostiglio e vi piantai dei chiodi di acciaio a distanza di un paio di centimetri l’uno dall’altro. Con l’aiuto di Maria Elena, che con pazienza attirò il gatto con i croccantini e con la voce suadente, immobilizzammo il gatto afferrandolo per la nuca e gli affibbiammo il collarino. Pensammo che il Ceffo al primo assalto si sarebbe trovato i chiodi tra i denti e non avrebbe più tentato di molestare la sua vittima. Il collarino chiodato mi sembrò l’uovo di Colombo! Il Ceffo si sarebbe arreso all’intelligenza superiore dell’uomo.
Ora aspettavo il risultato. E il risultato non si fece attendere. Gocce di sangue sul pavimento della veranda mi fecero immaginare il Ceffo con la bocca sfregiata. Invece apparve Rossini zoppicante, la zampa sinistra lacerata e gonfia. Che delusione! Che rabbia per aver sopravvalutato la mia intelligenza e sottovalutato quella del Ceffo! Certamente questo avrà trovato il modo di evitare i chiodi e di colpire alla zampa. Mi vergognavo di aver pensato che avevo risolto il problema della salvezza di Rossini.

Una mattina d’estate incontrai sulla spiaggia la signora Rosaria, che abita in una villetta di Sovareto a un centinaio di metri da casa mia. Mi disse che un gatto rosso stazionava spesso entro le mura del suo giardino. Volendo tenerselo, gli faceva trovare una ciotola di cibo, che il gatto gradiva. Da alcuni giorni però non si faceva vedere nella sua villetta, perciò mi chiese se io lo avessi visto.
Dalla descrizione capii che era Rossini e dissi alla signora che il gatto apparteneva a noi e che mia madre provvedeva alla sua alimentazione. Rimase delusa, ma accettò la situazione, pensando che si sarebbe procurata un altro gatto.
Io invece pensai che Rossini si sarebbe salvato dalle grinfie del Ceffo se si fosse persuaso a rimanere presso la casa della signora Rosaria. Ma come fare a persuaderlo?
Quando vidi con raccapriccio un profondo e lungo squarcio sotto la gola pensai che stavolta non sarebbe sopravvissuto. Lo pensarono anche mia madre e Maria Elena. Se Fosse stato mansueto lo avremmo preso e portato dal veterinario, Solo Maria Elena riusciva ad attirarlo a sé per qualche minuto, ma era impossibile trattenerlo di più. Sarebbe sopravvenuta un’infezione e poi la morte. Col passare dei giorni la ferita si asciugava, ma i lembi restavano distanti oltre un centimetro. Un gonfiore enorme comparso dopo alcuni giorni rese necessario togliere il collarino che lo avrebbe soffocato. Fu di nuovo Maria Elena ad attirarlo e ad immobilizzarlo per qualche secondo, mentre io svelta sganciai il collarino. Rossini terrorizzato scappò via e per parecchio tempo evitò di farsi vedere da noi.
Contro le nostre previsioni Rossini sopravvisse. La ferita sotto la gola lentamente si asciugò e cicatrizzò. Era diventato un brutto gatto. Anche il Ceffo era brutto; anche lui aveva qualche sfregio procuratosi nelle battaglie, ma era sempre vincente e dominatore.

Dovendo io e Maria Elena partire per il Messico nel mese di ottobre, la mamma, che ha quasi ottantacinque anni, si sarebbe trasferita a Siracusa da mio fratello. Occorreva che qualcuno si prendesse cura dell’alimenazione di Nerina e di Rossini. Una mia cugina si offrì volontariamente di venire una volta al giorno a casa nostra a versare i croccantini nella ciotola e così partimmo tranquille.
Tornate a Sciacca, dopo il viaggio in Messico, trovammo Nerina, felice di rivederci e desiderosa di coccole. Di Rossini nessuna traccia. Davanti alla ciotola del cibo si vedevano solo Nerina e il Ceffo. Io pensai che Rossini, non vedendoci più, si fosse trasferito nella vicina villetta della signora Rosaria e che in fondo la nostra assenza era stata per lui la sua salvezza. Il Ceffo aveva vinto la sua battaglia: mancando Rossini rimaneva lui solo padrone del territorio e dominatore. Nerina però non dormiva abbracciata con lui, come faceva con Rossini. Se ne restava sempre in disparte e malinconica.
Nel mese successivo, rincasando, trovai una sorpresa: sdraiato sul muretto del porticato vidi Rossini. Era ben nutrito, florido, rimesso su. Lo chiamai, mi riconobbe, ma non si lasciò avvicinare, come sempre.
Perché era tornato? Speravo per il suo bene che se ne andasse per sempre. Se ne andò e per tanti giorni non lo vedemmo più. Ma la nostalgia della nostra casa o ancor più di Nerina lo ha sopraffatto. Ora vive con noi, dorme abbracciato con Nerina, quando il Ceffo è assente.
Stamattina ho visto una nuova ferita sopra l’occhio sinistro. Forse si è abituato alle botte e anche noi ci siamo rassegnati.


Terza parte

Sciacca 23 aprile 2009

Da oggi sono passati quasi sei anni.
Il Ceffo non si vede più da parecchi anni.
Nerina è scomparsa l'anno scorso.
Rossini è rimasto solo, ma è sempre malconcio.


Ecco come si presenta Rossini oggi 23 aprile 2009


Nietta


Morte di Rossini
Trovato morto nello scantinato domenica 15 novembre 2009

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