venerdì 13 marzo 2009

24 - Il miracolo della vita

Sabato, 15 ottobre 2005

In questi ultimi cinque giorni ho provato una felicità inaspettata, quella che viene dalle piccole cose, che non sconvolge, non dà euforia, ma serenità, leggerezza e fa sembrare bella la vita.
Lunedì scorso la mamma mi telefonò per dirmi di aver visto in giardino una tartarughina al sole, vicino a quelle adulte. Aveva portato nel recinto la pasta sia per le tartarughe che per i gatti e si era seduta a guardare se queste ultime fossero attratte dal cibo. Girando lo sguardo fu attratta da una pietra dal colore diverso dalle altre. Guardando più attentamente si rese conto che non era una pietra, ma una tartaruga neonata. Alla notizia inaspettata scesi le scale di corsa per vedere con i miei occhi. La mamma non l'aveva presa perché pensava che fosse molle e temeva di farle male nel prenderla in mano. Nel posto indicatomi non c’era. La cercai con lo sguardo, senza riuscire a vederla. Peccato! Si era nascosta e chissà se sarebbe riapparsa.
Avevo visto a metà maggio una femmina adulta mentre ricopriva di terra una buca con le sue uova e non sapevo dove l'altra femmina avesse deposto le sue. Aspettavo che avvenisse il miracolo della schiusa nel mese di settembre (così avevo letto in un libro), ma poi persi ogni speranza. Avevo anche letto che la mortalità degli embrioni è alta per sbalzi climatici e un terzo o metà delle uova sono sterili. Passato il mese di settembre avevo visto dei piccoli frammenti di buccia di uovo vicino alla buca, ma avevo anche visto in precedenza la gatta sdraiata sul terriccio che la ricopriva. Pensai che col suo peso potesse schiacciare le uova, perciò collocai delle pietre aguzze attorno al nascondiglio.
La prima domenica di ottobre avevo indicato a Ignazio il nascondiglio delle uova e convinta che ormai nessuna tartarughina sarebbe nata, lo scoprii. Il primo uovo che apparve appena toccato si spaccò, lasciando uscire un tuorlo e un albume putrefatti. Accanto c'era qualche frammento di buccia. Pensai che le uova non fossero fecondate e i frammenti erano forse di uova schiacciate dalla gatta.
Ora non vedevo alcuna tartarughina e la mamma insisteva nel dire di averla vista, indicando un punto con un bastone. Spostai un ramo secco adagiato sul terreno e la trovai. Che meraviglia! Un miracolo! Com'era piccina! Gli occhi sembravano due punte di spillo. Il carapace ben disegnato con le piastre simmetriche e ben allineate. Era il 10 ottobre.
Quando era nata? Sembrava un po' più grande dell'uovo che avevo visto rompersi. Era nata in settembre? Se sì, come mai nessuno l'aveva vista? O è nata qualche giorno fa?
La portai a casa mia in veranda e la posi dentro la cassetta, insieme a Tartina, nata l'anno scorso. Le fotografai insieme per evidenziare la differenza. La fotografai rasente una squadretta per rilevare la lunghezza: quattro centimetri. Tartina era quattro volte più grande. Pensai alla gioia che avrebbe provato anche Maria Elena, al ritorno dall'ufficio. Infatti anche per lei fu una sorpresa bellissima. Telefonammo a Ignazio a Catania, che si unì alla nostra gioia.
L'indomani mattina un'altra telefonata della mamma mi avvertì che nello stesso posto c'era un'altra neonata. Ero a casa con Lia, che era venuta a trovarmi per trascorrere la mattinata con me e vedere nel mio computer le fotografie scattate nel viaggio in Islanda. Anche Lia mi seguì in giardino per vedere. Come il giorno prima, la nuova nata non si vedeva. Setacciai con il rastrello il posto dove la mamma l'aveva vista, impaziente di trovarla. Anche Lia aguzzava la vista e finalmente la scoprimmo. Era un po' più piccola di quella trovata ieri. La portai a casa e la posai nella cassetta. Ora erano tre. Tartina, abituata a stare sola, era incuriosita dalla presenza delle due neonate. Bisognava dar loro un nome per distinguerle. Lia mi suggerì di chiamare la seconda nata "Malù". Il nome mi piaceva; avrei cercato un nome anche per la prima. Nel pomeriggio, parendomi piccola la cassetta, ne aggiunsi un'altra mettendole in comunicazione: in una avevo messo del terriccio con delle foglie secche, nell'altra una ciotolina con l'acqua e qualche foglia tenera di lattuga e acetosella. Mi piaceva di tanto in tanto interrompere le mie attività quotidiane e sedermi in veranda a guardare le tre tartarughe girare nelle due cassette con vivacità. Malù misurava tre centimetri e mezzo. Comunicai la seconda sorpresa per telefono a Maria Elena, che quando tornò a casa la sera si diresse subito verso la cassetta per vedere il miracolo.
Il terzo e il quarto giorno scesi in giardino a cercare, sperando di trovare qualche altra neonata. Niente. Ero contenta lo stesso del dono che mi aveva fatto Madre Natura. I due minuscoli esserini viventi avevano portato nella mia casa la gioia della vita che si rinnova e che perciò non finisce mai.
Contemporaneamente è stata anche una gioia l'acquisto di una nuova automobile da parte di Maria Elena. Ma questa gioia non si può paragonare a quella. L'automobile possiamo comprarla col denaro quando vogliamo; la Vita non si compra: è un dono.
E la Natura è stata ancora generosa. Ieri pomeriggio, di ritorno a casa da una seduta di fisioterapia della mamma, mi attardai un po' in giardino, prima di salire a casa. C'era qualche tartaruga adulta in giro a godersi ancora il sole. Raccolsi da un alberello alcune grosse olive da conservare col sale in barattolo e le portai alla mamma. Girando lo sguardo intorno vidi inaspettatamente un'altra tartarughina che raccolsi prontamente. Attraversando il recinto ne vidi con orrore un'altra ancora, capovolta e annegata nella grande ciotola dell'acqua. Sembrava morta, ma non era rigida. Immediatamente premetti più volte il piastrone col pollice per farle uscire l'acqua dai polmomi e la adagiai dentro un vaso di terra al sole, sperando che non fosse ancora morta e che si riprendesse, come era successo l'anno scorso a Mosina. Entrai in casa della mamma per posare le olive raccolte e la tartarughina viva. Indugiai un poco in attesa che si ripetesse il miracolo della rinascita. E si ripeté. L'infortunata cominciò a muovere debolmente la testa: era tornata alla vita.
Salii a casa e deposi le ultime due neonate nelle cassette e le fotografai insieme alle altre, in tutto quattro neonate e Tartina di un anno.


La Natura non poteva farmi un dono più generoso e La ringrazio. Rinunzio a cercare un nome per ognuna. Si somigliano tutte e la nuova Mosina salvata dall'acqua non si distingue più dalle sue sorelle.

Nietta


mercoledì 11 marzo 2009

15 - Le luci di Betlemme

23-12-2004 giovedì



Ieri un’ispettrice di polizia entrò nell’ufficio di Maria Elena per chiederle il permesso di accendere le luci di Betlemme. Maria Elena non sapeva di che cosa si trattasse, ma il tono particolare della richiesta, la parola Betlemme e la prossimità del Natale le fece intuire che il permesso si poteva concedere. Tutti gli uffici allora si misero in fermento e si accesero miriadi di candele e lumini e ceri anche con l’immagine di Padre Pio.
Tempo fa un gruppo di boyscout avevano portato in Sicilia da un viaggio in Terrasanta una candela, accesa a Betlemme. Prima che la candela si consumasse molte altre ne furono accese finché la luce è arrivata in Sicilia. Le candele si sono consumate, ma se ne accendono di nuove con la stessa luce, che così si mantiene viva all’infinito.
Ogni credente ieri ha acceso la sua candela per portarla a casa e diffondere la luce divina anche nelle abitazioni di parenti e amici.
Ieri negli uffici era un brulichio di luci molto suggestivo. Un agente, che abita in un paese della provincia, lasciato l'ufficio dopo il lavoro, ha portato con sé in auto la sua candela accesa e ha guidato f
ino al suo paese con una sola mano, mentre con l’altra teneva la candela, badando che non cadesse e non si spegnesse. Per precauzione teneva sul sedile accanto una bottiglia piena d’acqua che potesse servirgli nella eventualità che la candela, sfuggendogli di mano, potesse bruciare la tappezzeria dell’auto. Giunto a casa col cuore palpitante di gioia per il dono che portava ai suoi cari, vide purtroppo la luce spegnersi all’improvviso nello scendere dall’automobile. Non si scoraggiò per il brutto segno. L’indomani portò da casa in ufficio una pentola con coperchio dove la candela ha viaggiato senza problemi, fino a raggiungere la sua abitazione.
Le luci di Betlemme mi hanno fatto pensare alle miriadi di luci accese nella povera chiesetta di Chamula nel Chiapas. Mi piacerebbe sapere come gli indios del Chiapas festeggino il Natale, ma non so dove attingere notizie.



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