Sciacca 21 giugno 2003
Stamattina accompagnando Maria Elena alla fermata dell'autobus alle ore 6,30, ho incontrato per strada un essere ancora vivente che mi ha tanto turbato. E' tutto il giorno che ci penso. Si tratta di un cane, o meglio di un fantasma di cane, come non mai avevo visto.
La prima volta che lo vidi fu due anni fa. Aveva ancora l'aspetto di un cane, bianco e nero, di media taglia, col pelo un po' lungo, grazioso. Mi accorsi di lui quando andai sulla strada carrabile a buttare la spazzatura in uno dei cassonetti posti lungo il bordo. Il cane frugava dentro il cassonetto (io non lo vedevo). e saltò via spaventato non appena si accorse di me.
La scena mi turbò. Pensai che avesse un padrone (lo indicava il collare) che si era stancato di lui e lo aveva lasciato chissà da quale zona nella mia contrada. Quanto cibo poteva trovare nei sacchetti della spazzatura? Per quanto tempo si sarebbe nutrito? Pensavo che avrebbe preso delle infezioni e sarebbe morto di qualche malattia.
Quel cane mi fece pena, ma poi, perdutolo di vista, non pensai più a lui.
Dopo qualche tempo il sentimento di pena si trasformò in irritazione quando vidi della spazzatura sparpagliata nel terreno intorno alla mia casa e dei sacchetti a brandelli qua e là. Erano i rifiuti della mia casa che tenevo provvisoriamente in una cesta del porticato in attesa del momento di portarli in uno dei cassonetti posti lungo la strada. Pensai che fosse stato il cane a rompere coi denti i sacchetti e a spargerne il contenuto nel terreno. Stizzita, dovetti scendere fuori a raccogliere la spazzatura sparpagliata qua e là e andare a buttarla nel cassonetto. Allora non provai pena per il cane affamato, ma fastidio per il lavoro che mi costringeva a fare. Come è mutevole l'animo umano! La stizza aveva cancellato la pietà.
Un giorno, dopo tanto tempo, lo vidi gironzolare sporco e dimagrito sotto il mio balcone. Pensai: "Poveretto, mi fa pena; potrei procurargli qualcosa da mangiare, magari potrei comprare il cibo secco per cani". Mi sentivo generosa in quell'attimo. Ma poi si insinuò nella mia mente una riflessione dettata dall'egoismo: "Se il cane prende una sola volta il cibo da me, si stabilirà per sempre nella mia casa. Io non voglio tenere un cane per i tanti fastidi che arreca la sua presenza. Bisogna preparargli una cuccia riparata per l'inverno. Quando piove imbratta lo spiazzo ammattonato con le zampe infangate. Se volessi partire e assentarmi parecchi giorni da casa, a chi potrei affidarlo? " Questi ed altri pensieri allontanarono da me l'idea di aiutare lo sventurato animale.
Non vedendolo più, la sua esistenza svanì dai miei pensieri. Nella primavera dello scorso anno, in una delle consuete passeggiate campestri del sabato o della domenica, lo rividi vicino alla spiaggia di Sovareto: Si reggeva a stento in piedi, seminascosto nell'erba alta. "Forse si prepara a morire” dissi ad alta voce a mio zio e a Italia, consueti compagni di passeggiate, dopo aver raccontato brevemente la storia del cane. ”Mi sento in colpa per non avergli offerto un tozzo di pane le poche volte che avrei potuto farlo. Ormai è troppo tardi e non si può far nulla. Fra qualche giorno morirà e finirà di soffrire”.
Stamattina accompagnando Maria Elena alla fermata dell'autobus alle ore 6,30, ho incontrato per strada un essere ancora vivente che mi ha tanto turbato. E' tutto il giorno che ci penso. Si tratta di un cane, o meglio di un fantasma di cane, come non mai avevo visto.
La prima volta che lo vidi fu due anni fa. Aveva ancora l'aspetto di un cane, bianco e nero, di media taglia, col pelo un po' lungo, grazioso. Mi accorsi di lui quando andai sulla strada carrabile a buttare la spazzatura in uno dei cassonetti posti lungo il bordo. Il cane frugava dentro il cassonetto (io non lo vedevo). e saltò via spaventato non appena si accorse di me.
La scena mi turbò. Pensai che avesse un padrone (lo indicava il collare) che si era stancato di lui e lo aveva lasciato chissà da quale zona nella mia contrada. Quanto cibo poteva trovare nei sacchetti della spazzatura? Per quanto tempo si sarebbe nutrito? Pensavo che avrebbe preso delle infezioni e sarebbe morto di qualche malattia.
Quel cane mi fece pena, ma poi, perdutolo di vista, non pensai più a lui.
Dopo qualche tempo il sentimento di pena si trasformò in irritazione quando vidi della spazzatura sparpagliata nel terreno intorno alla mia casa e dei sacchetti a brandelli qua e là. Erano i rifiuti della mia casa che tenevo provvisoriamente in una cesta del porticato in attesa del momento di portarli in uno dei cassonetti posti lungo la strada. Pensai che fosse stato il cane a rompere coi denti i sacchetti e a spargerne il contenuto nel terreno. Stizzita, dovetti scendere fuori a raccogliere la spazzatura sparpagliata qua e là e andare a buttarla nel cassonetto. Allora non provai pena per il cane affamato, ma fastidio per il lavoro che mi costringeva a fare. Come è mutevole l'animo umano! La stizza aveva cancellato la pietà.
Un giorno, dopo tanto tempo, lo vidi gironzolare sporco e dimagrito sotto il mio balcone. Pensai: "Poveretto, mi fa pena; potrei procurargli qualcosa da mangiare, magari potrei comprare il cibo secco per cani". Mi sentivo generosa in quell'attimo. Ma poi si insinuò nella mia mente una riflessione dettata dall'egoismo: "Se il cane prende una sola volta il cibo da me, si stabilirà per sempre nella mia casa. Io non voglio tenere un cane per i tanti fastidi che arreca la sua presenza. Bisogna preparargli una cuccia riparata per l'inverno. Quando piove imbratta lo spiazzo ammattonato con le zampe infangate. Se volessi partire e assentarmi parecchi giorni da casa, a chi potrei affidarlo? " Questi ed altri pensieri allontanarono da me l'idea di aiutare lo sventurato animale.
Non vedendolo più, la sua esistenza svanì dai miei pensieri. Nella primavera dello scorso anno, in una delle consuete passeggiate campestri del sabato o della domenica, lo rividi vicino alla spiaggia di Sovareto: Si reggeva a stento in piedi, seminascosto nell'erba alta. "Forse si prepara a morire” dissi ad alta voce a mio zio e a Italia, consueti compagni di passeggiate, dopo aver raccontato brevemente la storia del cane. ”Mi sento in colpa per non avergli offerto un tozzo di pane le poche volte che avrei potuto farlo. Ormai è troppo tardi e non si può far nulla. Fra qualche giorno morirà e finirà di soffrire”.
Un mattino d'inverno, dopo una notte fredda e piovosa, rividi il cane addormentato nella nuda terra vicino al mio cancello. Abituato a scappare davanti all'uomo, stavolta non ne ebbe la forza. Io passavo con la macchina e abbassai il vetro del finestrino per chiamarlo con voce calma per non spaventarlo. Era bagnato e sembrava più ischeletrito. Tentò di alzarsi per scappare, ma non ce la fece e ricadde giù. Ero meravigliata che fosse ancora vivo. Avrei giurato che era andato a morire sulla spiaggia e invece eccolo lì. Ma si poteva dire vivo? Era più morto che vivo. A retromarcia tornai a casa a prendere la scatola dei croccantini secchi che tengo in serbo per i gatti e mi avvicinai al cane. Ne posai una manciata vicino a lui e mi allontanai di qualche passo per fargli prendere coraggio. Il cane allungò la testa verso il cibo, e poiché la bocca non arrivava a prenderlo fece qualche tentativo di alzarsi in piedi e rinunziò al pasto. Dopo un po' proseguii per la mia strada delusa. Al ritorno il cane non c'era più e neanche il cibo. Ma forse il cibo lo avevano mangiato i gatti, che sono più svelti di lui. Parlai del cane con il sig. Luigi, mio vicino di casa. Anche lui lo conosceva. In sua assenza il cane dormiva vicino al pollaio o alla conigliera e scappava via quando il vicino si aggirava intorno alla sua casa.
Ero convinta che dopo quella volta non avrei più rivisto il cane. Sono passati due anni e stamattina presto mi è apparso il suo fantasma. Sì, perché non si poteva chiamare cane, né essere vivente. Sembrava un cane in avanzato stato di putrefazione, tenuto in piedi artificiosamente. Era fermo vicino al cassonetto dei rifiuti. Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per ritrarlo e mandare la sua immagine orribile al W.W.F. Oppure alla televisione locale perché l’indegno suo ex padrone, vedendolo provasse vergogna o almeno un po’ di rimorso. Dalla pancia al dorso aveva perso il pelo e mostrava tutte le costole, gli occhi non avevano sguardo; il corpo era sgangherato e deforme. Sotto la coda pendeva la pelle flaccida, informe. Perché era ancora vivo-non vivo? Non era morto perché stava in piedi. Se lo avessi trovato disteso mi sarebbe sembrato morto da tanto tempo. Corsi a casa a prendere non il cibo, ché a nulla sarebbe servito, ma la macchina fotografica, per fissare quell’immagine come documento del male che fa l’uomo civile.
Ritornai nel posto dove lo avevo visto fermo, ma non ve lo trovai più. Percorsi la strada la strada un po’ avanti e indietro e ritornai a casa sconcertata per quello che avevano visto i miei occhi. Accesa la televisione per il Tg del mattino, sentii tra le altre notizie che con l'arrivo dell'estate è iniziato l'abbandono dei cani da parte dei vacanzieri e che è stata proposta una legge che punisca severamente, anche con il carcere, gli indegni padroni degli animali abbandonati..
Io intanto, punta da sensi di colpa, continuo a pensare con amarezza al cane, bianco e nero, tanto grazioso due anni fa, che ora è diventato una poltiglia informe senza colore.
Nietta
Ero convinta che dopo quella volta non avrei più rivisto il cane. Sono passati due anni e stamattina presto mi è apparso il suo fantasma. Sì, perché non si poteva chiamare cane, né essere vivente. Sembrava un cane in avanzato stato di putrefazione, tenuto in piedi artificiosamente. Era fermo vicino al cassonetto dei rifiuti. Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per ritrarlo e mandare la sua immagine orribile al W.W.F. Oppure alla televisione locale perché l’indegno suo ex padrone, vedendolo provasse vergogna o almeno un po’ di rimorso. Dalla pancia al dorso aveva perso il pelo e mostrava tutte le costole, gli occhi non avevano sguardo; il corpo era sgangherato e deforme. Sotto la coda pendeva la pelle flaccida, informe. Perché era ancora vivo-non vivo? Non era morto perché stava in piedi. Se lo avessi trovato disteso mi sarebbe sembrato morto da tanto tempo. Corsi a casa a prendere non il cibo, ché a nulla sarebbe servito, ma la macchina fotografica, per fissare quell’immagine come documento del male che fa l’uomo civile.
Ritornai nel posto dove lo avevo visto fermo, ma non ve lo trovai più. Percorsi la strada la strada un po’ avanti e indietro e ritornai a casa sconcertata per quello che avevano visto i miei occhi. Accesa la televisione per il Tg del mattino, sentii tra le altre notizie che con l'arrivo dell'estate è iniziato l'abbandono dei cani da parte dei vacanzieri e che è stata proposta una legge che punisca severamente, anche con il carcere, gli indegni padroni degli animali abbandonati..
Io intanto, punta da sensi di colpa, continuo a pensare con amarezza al cane, bianco e nero, tanto grazioso due anni fa, che ora è diventato una poltiglia informe senza colore.
Nietta
Cara Nietta, leggendo il tuo scritto bellissimo mi sono spuntate le lacrime e ho pianto pensando a quel cane e a tutti quegli esseri viventi, animali e non, che vivono nell'abbandono e nel degrado. Io penso che ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa, magari un piccolo gesto di generosità, ma cmq non possiamo risolvere tutti i drammi e le sofferenze che esistono in questo mondo. Io ho avuto sempre molti cani, non per scelta, ma proprio per salvarli da un destino tragico. Cara Nietta ti saluto. Come vedi tante sono le persone indifferenti, ma tante sono pure quelle sensibili che amano gli animali ed in particolare i cani.
RispondiEliminaTi ringrazio per aver voluto condividere con me questi tuoi sentimenti.
Ti abbraccio
Luisa