Stamattina io e Maria Elena Elena ci siamo alzate prima del solito, alle 5,30, e siamo uscite in anticipo per fare rifornimento di benzina e bere un caffé al bar.
La primavera si avverte anche dalla luce dell'alba. Nei mesi scorsi uscivamo col buio.
Ho fatto amicizia con un cane solitario. La prima volta che mi accorsi di lui, in piazza Saverio Friscia, non capivo perchè fosse fuori a quell'ora senza il padrone. La piazza è quasi sempre deserta all'alba e il cane gironzolava nei paraggi.
Non pensai che fosse un randagio, perché il suo aspetto mostrava buona salute. Solo ora, dopo averlo notato ogni mattina in quest'ultimi giorni, ho capito che si tratta di un cane senza padrone.
Lo chiamai e si avvicinò a me, mansueto, scodinzolando la coda e chiedendo con lo sguardo una carezza. Io e Maria Elena eravamo appena uscite dal chiosco del bar per il caffé e il cane ci seguì fino alla fermata dell'autobus.
Per associazione di idee, pensai alla triste fine di quel cane randagio di Sovareto, di cui avevo scritto la storia. Rivedevo nella memoria come mi apparve l’ultima volta che lo incontrai, il corpo sgangherato, la pelle flaccida che aveva perso il pelo, gli occhi senza sguardo, e pensai ai sensi di colpa che mi avevano punto per non averlo aiutato quando ero ancora in tempo.
Maria Elena mi fece osservare che il cane color miele di Piazza Saverio Friscia non avrebbe fatto la stessa fine. In piazza e nell’ adiacente Viale della Vittoria ci sono una paninoteca, addossata al recinto della Villa Comunale, dei bar, un supermercato, una salumeria. Ci saranno ogni giorno avanzi sufficienti per la sua alimentazione. Mi sentii rincuorata per la sua sorte.
Tornata a casa, il pensiero dell'imminente risveglio delle tartarughe mi ha ispirato l'idea, pensata da tanto tempo, di creare per loro un habitat migliore nel giardino della mamma, che è circondato da un muro, da cui sarebbero protette dagli animali randagi e anche dalla curiosità di bambini malintenzionati di passaggio.
Ho staccato dal muro, a cui era appesa, la mia bella falce e, calzati gli stivali di gomma, mi son messa a estirpare l'erba, bagnata dalla pioggia notturna, aiutandomi con la falce e le mani.
E' la seconda volta che faccio questo lavoro nella mia vita e ho provato lo stesso benessere della prima, due anni fa. Ricordo l'emozione di aver sentito l'odore della terra bagnata, dei finocchi selvatici, quando venivano tagliati, dell'acetosella e dei cardi spontanei . Ricordo che la mia falce risparmiava le belle piante di acanto, che quest'anno sono più numerose e rigogliose per le piogge abbondanti dell'autunno e dell'inverno. Da quando ho imparato a riconoscere l'acanto attraverso un bel servizio televisivo su questa pianta, che cresce spontanea a Siracusa, che gli artisti greci presero a modello per decorare i capitelli corinzi dei templi, io lo guardo crescere nel mio giardino con compiacimento.
Stamattina ho lavorato con la schiena china fino alle otto e un quarto: ho liberato un rettangolo di terra dall'acetosella e dall’avena selvatica, ho spianato col rastrello qualche lieve ondulazione, tolto le pietre, che ho ammassato a ridosso del muro di cinta. Un'ora e mezzo di lavoro in tutto.
Mi sono sentita più sciolta e leggera, certa di aver bruciato un po' di calorie e, spero, anche un po' di colesterolo. Questo lavoro ha fatto bene al corpo e anche allo spirito. "Mens sana in corpore sano" , ci hanno detto i latini, ma bisogna provare per credere. Mi sento bene nel corpo e nello spirito, quasi in simbiosi con i tre regni della Natura.
Il sole sta salendo nel cielo: si prospetta una bella giornata di luce.
Nietta
Ciao Nietta, il tuo rapporto con la natura è encomiabile; leggendo questa pagina viene voglia di seguire il tuo esempio. Ormai il nostro sistema di vita trae soddisfazione da altri interessi e raramente consente un contatto autentico col mondo che ci circonda. Complimenti da Laura e Vito.
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