E' stata un'avventura portare in Italia alcune piantine dal Messico. Non ho portato solo le palme da cocco, ma anche tre piantine grasse, per le quali non mi preoccupo tanto, dato che molte cactacee provenienti dal Messico vivono bene anche da noi. Amo moltissimo le piante grasse e compro tutte quelle che vedo in vendita e che non ho ancora. Nei negozi di piante e fiori di Sciacca non ne trovo più di nuove. Girando per il Messico mi è capitato di vedere le stesse piante che coltivo nei miei balconi.
Se ben ricordo, la prima piantina grassa, dura, con la pelle spessa di colore verde chiaro e con qualche spina nera, la presi da un grosso vaso posto davanti ad un negozio di souvenirs, nei pressi del sito archeologico di Theotiuacan, vicino a Città del Messico. C’erano parecchi turisti che entravano ed uscivano dal negozio, intenti a guardare la varietà di oggetti che venivano offerti alla nostra curiosità e non mi fu difficile strappare un rametto senza farmi vedere e nasconderlo nella borsa. Contenta dell'operazione, entrai anch'io nel negozio, grande e bello da fotografare e filmare per la vivacità dei colori, che mi attraeva più degli oggetti in vendita.
La seconda piantina la presi da un grosso vaso posto sul marciapiede davanti alla vetrina di un negozio a Oaxaca.
La pianta grassa vista davanti al negozio era per me nuova e perciò non me ne sarei andata da quel luogo senza avere strappato una piccola porzione staccabile con le dita.
Mi guardai intorno per assicurarmi che nessuno mi vedesse e, fingendo di guardare con Maria Elena gli oggetti esposti nella vetrina, staccai una pezzetto di piantina, ricoperta di spine morbide e la nascosi in tasca.
La terza piantina la presi in una zona aperta nei pressi del sito archeologico di Mitla, vicino a Oaxaca. Non c'era nessuno vicino a me e staccai una foglia senza alcun problema. Somiglia a una pianta di ficodindia, con le foglie molto più piccole e le spine nascoste in ciuffetti di peluria bianca.
Lasciavo le tre piantine grasse sul davanzale della finestra della camera d’albergo o nel balcone, alla luce, per tutta la giornata.
So per esperienza che le piante grasse resistono per parecchio tempo fuori della terra, perciò ero sicura che sarebbero rimaste in vita per tutto il tempo del viaggio e che le avrei portate in Italia.
Quando si lasciava l'albergo e si partiva per un altro luogo, le piantine, sistemate in un sacchettino di cellofan trasparente con dei fori, viaggiavano con me nella borsa. Nei tragitti in pullman o in aereo avevo cura di tirarle fuori alla luce. Una compagna di viaggio, che un giorno si accorse delle mie piantine, mi disse:
"Non hai sentito cosa ha detto la guida? E' proibito portare all'estero le piante messicane".
Io non l'avevo sentito, perché non sempre ascoltavo la guida, ma le credetti; perciò da quel momento fui guardinga. Negli aeroporti e in aereo tenevo il sacchetto con le piantine nascosto nella borsa, che cercavo di tenere il più possibile aperta per farvi arrivare la luce.
Il giorno prima di lasciare il Messico ci trovavamo a Playa del Carmèn, un villaggio sulla spiaggia tropicale del Mar dei Caraibi, ricca di palme da cocco. Le avevo osservate prima a Palenque e fotografate, cariche dei grossi frutti, che non avevo mai visto prima. Nei nostri giardini vivono bene le palme da dattero, ma i frutti non arrivano a maturazione. Le palme da cocco, a confronto con quelle da dattero, mi sembravano più gentili per il fusto liscio e sottile e i rami più leggeri e flessibili. Mi sarebbe piaciuto procurarmi i semi e provare a metterli in un vaso e non sapevo a chi chiedere come si riproducono.
Nel sito archeologico di Palenque, accaldate e assetate per la temperatura, io e Maria Elena avevamo comprato una grossa noce di cocco.
La venditrice aveva praticato un forellino e infilata una cannuccia perché ne aspirassimo il liquido. Ce n'era tanto che una sola noce bastò a dissetarci tutte e due. Poi la venditrice con un macete scortecciò la noce dalla buccia verde, la spaccò in due e ce la restituì per mangiarne la polpa che, a differenza di quella del cocco che compriamo nei nostri supermercati, è morbida e più sottile, ma dello stesso sapore.
Nel mio giardino e in quello di mia madre ci sono alcune belle palme di due specie diverse. Mi chiedevo: "Se le palme da dattero, che sono piante tropicali, vivono bene nella nostra area mediterranea, perché non dovrebbero viverci anche quelle da cocco?" Poi riflettevo che mai avevo visto nella nostra area palme da cocco. Deducevo che non possono attecchire nel nostro clima. Insomma mi sentivo troppo ignorante in materia di palme. Pensai che al ritorno in Italia avrei fatto qualche ricerca nell'enciclopedia o in qualche altro libro, e che non avrei potuto mai portare una palma da cocco in Italia.
Invece non fu così. La fortuna mi venne incontro e mi offrì l'opportunità di portarmi in Italia ben cinque piantine di noce da cocco. Incredibile!
Gli ultimi due giorni del viaggio, come accennato sopra, li passammo a Playa del Carmèn, nello Yucatàn. Il giardino che circondava l'albergo era ricco di palme che arrivavano fino alla spiaggia. Il clima era molto umido e caldo.
Cercavo di adocchiare qualche piantina che fosse nata ai piedi di una palma. Ce n'era qualcuna, ma troppo grande per poterla staccare. La mattina dell'ultimo giorno vidi a sinistra del vialetto che percorrevamo per andare alla spiaggia, una zona ombrosa (la fitta vegetazione lasciava passare poca luce). Maria Elena, che era con me, mi indicò uno strano animale, della grandezza di un gattino, che sembrava abituato alla vista dell'uomo. L'animaletto andò subito via. Un sedile sotto gli alberi ci invitò a sederci. Mi guardavo intorno per scorgere altri animali. Vidi fuggevolmente delle iguane e poi... ciuffi di fili verdi a poca distanza da me. Guardai attentamente e riconobbi in quei ciuffi delle neonate piantine di palme da cocco.
Erano lì, davanti a me, in un terreno umido e morbido. Non occorreva una zappa. Erano così piccole che bastavano le sole dita per sradicarle. Non feci niente. Quel vialetto era un passaggio obbligato per raggiungere la nostra camera d'albergo. Dopo cena, tornando in camera, ci saremmo fermate in quel posto poco illuminato e avremmo preso le piantine con un po' di terra, senza essere viste da nessuno. Da quando avevo saputo del divieto di portare piante messicane all'estero, mi pareva di commettere un reato. Ma il desiderio di portare a casa mia una di quelle piantine era così forte, che avrei trasgredito la legge messicana.
Di sera, prima di rientrare in camera, sradicai un ciuffo di piantine che si staccarono con le radici integre e le avvolsi in un tovagliolo di carta. Erano cinque. Con un bicchiere di plastica raccolsi un po' di terra e tornammo in camera. Prima di mettere in ordine le valigie per la partenza dell'indomani sistemai le cinque piantine nel bicchiere di plastica avendo cura di coprire le radici con la terra umida.
L'indomani mattina partimmo per l'aeroporto di Cancun, dove un agente faceva il controllo delle valigie. Le mie cinque palme e le tre piantine grasse erano chiuse nel bagaglio a mano. Quando l’agente mi chiese cosa avessi nella borsa, io risposi tranquilla che non avevo niente di particolare. Poi mi chiese:
"Ha frutta? Ha piante?"
Io allibii per la domanda che non mi aspettavo e risposi ancora di no apparentemente con disinvoltura. Mi fece passare senza controllare la borsa e passò a ripetere le stesse domande al passeggero successivo.
Ora le mie piantine sono a casa. Quelle grasse le ho piantate insieme in una ciotola in veranda per averle sott'occhio ogni mattina. Le cinque palme le ho divise in cinque vasetti, che ho collocato in giardino ai piedi di una euforbia, in modo che quando mi affaccio dal balcone o dalla finestra possa vederle subito.
Ora sono passati tre mesi dal viaggio in Messico. Le tre piantine grasse sono vive, ma ancora non hanno messo radici. Delle cinque palme da cocco tre sono morte subito. Le due rimaste sono ancora verdi. Anzi in un uno dei due vasi sono nate due nuove foglioline di palma, come se la piantina avesse germogliato. Ho però il dubbio che le due nuove foglioline siano della palma da cocco. Da una vicina grossa palma tanti datteri secchi cadono a terra e germogliano con la pioggia. Non potrebbero le due nuove foglioline essere nate da un dattero, portato nel vaso dal vento o da un uccello? E' troppo presto per avere qualche certezza.
Mentre scrivo piove e fa freddo. Chissà se le mie palmette, nate nella calda costa dei Caraibi, sopravvivranno a questo inverno?
Nietta
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