mercoledì 11 settembre 2013

9 - Un albero creduto estinto

Sciacca 30 giugno 2003

Da quando Giovanni non è più tra i vivi spesso penso ad un albero di cui mi aveva più volte parlato, perché legato ai bei ricordi della sua infanzia. Io non gli prestavo tanta attenzione quando qualche volta me ne parlava e non gli facevo domande su quell’albero per me sconosciuto e inesistente, che era stato abbattuto non so per quale motivo. Forse me l’aveva detto il motivo, ma io non ne ero incuriosita. Ricordo che lo chiamava “caccamo”. Me lo diceva quando andavamo in campagna a Raganella a raccogliere le arance. Passando dietro la casa, a circa dieci metri, mi indicava il punto in cui si ergeva maestoso il “caccamo”. Io saprei trovare pressappoco il punto e ora mi cruccio perché non avevo ascoltato abbastanza e non gli avevo chiesto nulla dell’albero che non ho mai visto, che non mi ha mai interessato e che ora invece mi interessa. Mi interessa non come a un botanico, ma sentimentalmente, perché appartiene a un bel ricordo d’infanzia di una persona che mi manca tanto e che è sempre presente nella mia mente. Mi diceva che durante la guerra si era trasferito con la famiglia nella vecchia casa rurale di Raganella. Ora al suo posto ce n’è una nuova, che abbiamo costruito insieme. Altre famiglie si erano trasferite nelle vicinanze e Giovanni bambino giocava con i coetanei con la fionda o con la cerbottana, scagliandosi l’un contro l’altro i noccioli del “caccamo”. Diceva che l’albero era molto grande e i frutti molto piccoli e rotondi.
Questo è tutto quello che ricordo di ciò che aveva detto.
Ho cercato sul vocabolario e su una enciclopedia universale il termine “caccamo” e non ve l’ho trovato. Forse il termine è dialettale. Ho chiesto inutilmente a qualcuno se conoscesse un albero chiamato “caccamo”. Forse dovrei rivolgermi ai vecchi contadini, dato che le persone della mia età non lo conoscono. Forse il figlio del contadino che coltivava la terra di Raganella, e che è morto da parecchi anni, potrebbe saperlo.
Mi convinco che questa specie di albero sia estinta. I frutti non li ho mai visti sui banchi dei fruttivendoli.

Il pensiero del “caccamo” estinto mi fa pensare ad altri alberi che esistono ancor oggi, ma che sembrano destinati ad estinguersi: gli azzeruoli, i melograni, i gelsi. A Sovareto, nel terreno che circonda la mia casa, dove vivo stabilmente, ci sono tra gli ulivi due vecchi alberi di “azzeruolo”.
In periodo invernale non li distinguo mai perché non hanno le foglie e i nudi rami scuri si mimetizzano dietro la chioma sempreverde degli ulivi. Ogni anno, in un giorno di primavera, aprendo il balcone della cucina, appena alzata dal letto, mi appare lo spettacolo inaspettato di una grande chioma bianca che supera quella degli ulivi.
Lo stupore suscitato dallo spettacolo deriva dal fatto che a primavera mi accorgo dei mutamenti della natura guardando tutte le altre piante, ma non mi viene in mente di avvicinarmi agli azzeruoli per vederne le gemme o i fiori pronti a sbocciare.
L’azzeruolo si nasconde per tutto l’inverno alla mia vista, non vedo spuntare le gemme perché i rami sono alti e quando l’albero fiorisce mi appare all’improvviso in una mattina di primavera, quando apro le persiane della cucina. Vedo un solo albero; l’altro è più distante e seminascosto da un pino. I fiori sono bianchi e piccoli come quelli del mandorlo, che fiorisce prima.
Ho letto sull’enciclopedia che sono profumati. Io non lo sapevo: i rami sono alti e il naso non arriva a loro. Ma la curiosità può essere soddisfatta appoggiando una scala a pioli sull’albero e salendo ia alto, cosa che mi prometto di fare la prossima primavera.

Abito a Sovareto da ventisette anni e ogni primavera il mio stupore si ripete. Vorrei vedere prima spuntare le gemme ed aspettarmi la fioritura. Finora non è accaduto: la fioritura dell’albero dimenticato appare sempre inaspettatamente. I fiori durano parecchio tempo; quando non si vedono più, spuntano le foglie che formano una bella chioma verde chiara che spicca tra gli ulivi.
Nella tarda estate appaiono i frutti di colore rosso scuro. Sembrano mele in miniatura.
Quando maturano, cadono dall’albero formando a terra un tappeto rosso. Qualche volta ne raccolgo un po’ da terra, perché senza una scala non arrivo ai rami.



Le azzeruole sono più belle da vedere che a mangiarle. Sarebbero buone e invitanti se in inverno il cielo fosse generoso di pioggia. Invece la siccità aumenta di anno in anno e lo spessore della polpa, dolce e asprigna, si riduce fino a qualche millimetro. Così nessuno le raccoglie e restano a marcire a terra.
La mia vicina ha un alberello giovane di azzeruolo, le cui radici affondano in un vallone, che raccoglie le acque piovane che scorrono dal terreno soprastante in declivio. I frutti di quell’alberello sono più grossi e la polpa diù spessa e saporita. Parecchie volte mi ha invitato a mangiarli.
Ricordo che nel mio terreno c’era un altro azzeruolo dai frutti di color giallo chiaro. E’ stato estirpato perché troppo vecchio e secco.
Nessuno pianta più azzeruoli e frutti non ne ho mai visti sui banchi dei fruttivendoli. Quando moriranno gli alberi vecchi non se ne vedranno più e le future generazioni non sapranno che albero è l’azzeruolo, come io oggi non so com’era un “caccamo”.
La stessa cosa avverrà del melograno, che è anche un bellissimo albero ornamentale per il verde smagliante delle foglie, per il rosso vivo dei fiori e per la bellezza dei suoi frutti. Esiste un vecchio melograno a Raganella da cui ho staccato alcuni virgulti per farne talee. Due di esse hanno messo le radici e sono diventate alberelli, che ho piantato con mia grande gioia nel giardinetto di mia madre. Da qualche anno uno dei due ha cominciato a regalarci i suoi saporiti frutti.
Che dire dei gelsi? Raramente se ne vedono al mercato. Anni fa piantai un alberello nel mio giardino, che vorrei veder crescere e fruttificare. I suoi frutti sono scarsi e cadono a terra prima di arrivare alla maturazione. Colpa della siccità.
Sono per questo amareggiata. Amo tutti gli alberi del mio giardino: vecchi ulivi, aranci, mandarini, un bergamotto, un nespolo, oltre agli azzeruoli. Tutti soffrono la sete e stanno diventando sterili. Alcuni sono morti negli anni passati e quest’anno ho pregato il mio vicino Luigi di sradicarli col suo trattore. Ridotti in piccoli pezzi, li ho bruciati. Solo un arancio è rimasto disteso sul terreno come uno scheletro, con le radici in aria. Non sono riuscita a tagliarlo a pezzi per bruciarlo e mi fa pena vederlo. Quando si allenterà la morsa del caldo pregherò Luigi di tagliarlo con la sua motosega.
Ho una grande cisterna di acqua potabile, ma non posso usarla per salvare tutte le piante. L’acqua viene erogata dal Comune con parsimonia e non tutti i giorni. Potrei salvare qualche albero, ma non potrei sceglierne uno perché li amo tutti ugualmente. Così ho deciso di abbandonarli al loro destino.

Non ho pensato più al "caccamo" di Giovanni, rassegnata a non conoscerne il vero nome, quando dopo cinque anni, l'estate scorsa, inaspettatamente, ho scoperto il nome dell'albero che credevo estinto.
Mi trovavo con un numeroso gruppo di amici a Siracusa per assistere alle rappresentazioni classiche nel Teatro Antico. Durante una escursione alla Necropoli rupestre di Pantalica, in provincia di Siracusa, ci soffermammo all'ombra di un albero a riposarci, quando uno del gruppo, appassionato di botanica, ci indicò i piccoli frutti rotondi, dicendo che da bambino si divertiva con i coetanei a lanciare i noccioli con la cerbottana. Pensai all'albero di "caccamo" di cui mi parlava Giovanni e chiesi come si chiammasse. Mi rispose : - "Bergolaro o spaccasassi".




Un maestoso bagolaro



Foto del bagolaro di Pantalica

 Finalmente! Quel nome si era pronunciato inaspettatamente, senza che io lo cercassi più.
Guardai attentamente l'albero che avevo davanti e scattai alcune foto.
Non era maestoso come quello di cui mi aveva parlato Giovanni, ma piccolo perché giovane, e ricco di piccole bacche verdi, ancora acerbe, che diventano scure con la maturazione all'inizio dell'autunno.

Rami di un bagolaro di Pantalica con le  piccole bacche verdi ancora acerbe

 Frutti maturi

Ho saputo che è molto longevo e riesce a vivere anche due o tre secoli. Vive in ambienti aridi, su terreni calcarei, sassosi, dove l'apparato radicale, robusto e assai sviluppato, penetra nelle fessure delle rocce favorendone lo sgretolamento: da ciò deriva un altro nome volgare, "spaccasassi".
Ho saputo anche che il bagolaro viene chiamato anche "albero dei rosari" perché i suoi semi erano utilizzati per costruire il rosario.

 Foto: Lu Caccamo 

Il nome originale è Bagolaro e più che un frutto è una piccola bacca, tanti anni fà costituiva un passatempo per i ragazzi i quali succhiavano la dolce e nera pellicina esterna e lanciavano il seme grosso come un cecio attraverso una cannuccia di pari diametro che faceva da cerbottana. Matura in agosto. Era solito vederli vendere in strada la domenica quando si usciva dalla chiesa. Il termine, curioso, con il quale è indicato nella Sicilia orientale, ha una sua origine prettamente greca, derivando da melas-coccos, cioè bac­ca nera ed ancora da mini-coccos, piccola bacca. Nella Sicilia occidentale invece è più noto col nome caccamo, termine proveniente dal bizantino kakkabos

Tornata a Sciacca ho rivisto l'albero nelle fotografie scattate a Pantalica e non mi è ancora capitato di vederne uno nella zona di Sciacca.

   



Ps. 23 ottobre 2013

Un anonimo lettore toscano mi ha informato che nella zona vecchia di San Gimignano c’è un imponete albero di bagolaro tra i più belli d’Italia (foto sotto)

                                                                                                                                        Nietta


5 commenti:

  1. grazie per questa storia, coincidenza anche io cercavo da parecchio tempo il vero nome del "caccamo"
    Michele
    Campobello di Licata (AG)

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  2. Bagolaro,finalmente!Ne ho uno davanti casa che mi fà compagnia.Lo vedo dalla finestra della cucina soggiorno,sollevo lo sguardodalla tastiera...ed èlì il nudo "caccamo".Cosi mi ha detto che si chiama il vicino di casa.Grazie a te il cerchio,dopo due anni che non ci pensavo più,si chiude.Ciao e complimenti per i racconti.

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  3. Ciao spero che questo blog sia ancora aperto.
    Chi non ricorda l'albero del CACCAMO.
    Dopo anni, vivo adesso in Lombardia, ho rivisto il mitico albero. Ci sono viaali pieni e mi fermo spesso sotto uno di essi per ricordare.
    Qui lo conoscono come albero da viale, non sanno niente del mitico frutto e del suo uso.
    Adesso conosco anche il suo nome scientifico.
    Grazie e viva il CACCAMO.
    Milano 14 agosto 2011
    Gerardo

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  4. Ci sono a Sciacca. Ad esempio in corso Miraglia ;)

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  5. Sono riuscito a trovarne uno anni fa in un vivaio e l'ho piantato. Anche io lo ricordavo da bambino e desideravo averne uno. Gianni (ag)

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