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Viaggio in Giordania
dal 9 al 16 ott. 2010
(Scritto venerdì 22 ottobre 2010 )
Da alcuni anni io e Maria Elena preferiamo fare un viaggio importante in autunno, dopo che è passato il grande caldo della nostra terra, che toglie il respiro e la voglia di agire. La meta voluta da Maria Elena per questo autunno era il Giappone. Perciò fin dall'estate cominciai a cercare in internet documentari e notizie relative al paese del Sol Levante e diari di viaggio. Gli unici documentari trovati furono quelli di Syusy Blady e Patrizio Roversi, intitolati "Turisti per caso". I diari non erano entusiasmanti. Cominciai a leggere la storia del Giappone con qualche difficoltà, perché mi pareva tanto diversa ed estranea alla nostra. Invece le foto pubblicate dai turisti erano attraenti.
Nell'agenzia di viaggi di Fabrizio trovai solo due cataloghi che proponevano il viaggio in Giappone: tra i due scegliemmo quello che ci offriva una guida parlante italiano.
Rosalba T. accettò subito l'invito di unirsi a noi; Mariola accese la sua fantasia per il viaggio, senza però essere sicura di potere aderire; Maria V. disse che le sarebbe piaciuto, ma avrebbe deciso in seguito, dovendo prima risolvere problemi più urgenti.
A metà settembre cominciammo tutte quante a pensare che era ora di decidere e di prenotare il viaggio. Maria V., risolti i suoi problemi personali, sarebbe partita accoppiata con Rosalba, io con mia figlia Maria Elena, mentre Mariola, che non aveva una compagna con cui dividere la camera d'albergo, aveva delle remore e voleva tirarsi indietro.Rosalba T. accettò subito l'invito di unirsi a noi; Mariola accese la sua fantasia per il viaggio, senza però essere sicura di potere aderire; Maria V. disse che le sarebbe piaciuto, ma avrebbe deciso in seguito, dovendo prima risolvere problemi più urgenti.
Mi ricordai che in passato aveva fatto dei viaggi con Ida A., perciò pensai di invitare quest'ultima a unirsi a noi, abbinandosi a Mariola durante il viaggio. Ida accettò subito l'invito e l'indomani andò presso il Commissariato di Polizia per il rinnovo del suo passaporto. Sicure tutte quante di voler partire, andai nell'agenzia di Fabrizio per prenotare il viaggio. Fabrizio prese degli appunti e mi congedò dicendomi che ci avrebbe telefonato per la conferma.
Dopo alcuni giorni Fabrizio mi comunicò una spiacevole notizia: il nostro viaggio era stato annullato per mancanza di iscritti. Che delusione! Nessuno di noi avrebbe previsto una simile eventualità. Che fare? Rinunciare e trascorrere il lungo e monotono inverno, senza il ricordo vivificante di un bel viaggio, che arricchisce la mente di conoscenze dirette del mondo e della vita, di immagini, di riflessioni?
La Giordania mi ricordava un interessante documentario televisivo visto recentemente su Petra. Pensai che non sarebbe stato difficile organizzare un viaggio di una settimana in un paese vicino: inoltre la Giordania è sempre stata nei miei desideri, anche se non immediati, inoltre ancora l'amica Lia mi aveva recentemente proposto un viaggio in Giordania per la primavera del prossimo anno. Perché non farlo ora? Non mi fu difficile convincere Maria Elena e le altre amiche al cambiamento di meta. Lia si aggiunse a noi e Maria V. invitò la sorella Giacomina, che accettò volentieri. In breve si formò un gruppo di otto persone: io avrei diviso la camera d'albergo con Lia, Maria Elena con Rosalba, Mariola con Ida e Maria con la sorella Giacomina.
Fabrizio ci consigliò il programma migliore per noi, con partenza dall'aeroporto di Catania per Amman, passando dal Cairo. Abbiamo scelto la data di sabato, 9 ottobre.
1° giorno – 9 ottobre sabatoMaria Elena ed io partiamo per Catania con l' Alfa 147 alle ore 9,00. Con noi viaggia la mia mamma, che per non restare sola a Sciacca, approfitta della mia vacanza per passare una settimana a Siracusa in casa di mio fratello. All'aeroporto incontriamo Ignazio e Loredana ai quali affidiamo l'automobile e la mamma per poter proseguire per Siracusa. Restiamo sole ad aspettare l'arrivo delle altre partecipanti. Poco dopo arriva Rosalba da Mezzoiuso con un autobus di linea e infine, alle ore 13,00, le altre cinque amiche (Lia, Mariola, Ida, Maria e Giacomina) con un pulmino da Sciacca. Presso il banco della compagnia Egiptair ci viene incontro una signora incaricata dal tour operator ad aiutarci nelle operazioni di imbarco e così, intorno alle ore 15,55, con un piccolo aereo decolliamo alla volta del Cairo. Durante il volo, durato tre ore, ci viene offerto il pranzo. All'aeroporto del Cairo ci attende un agente con un cartello di riconoscimento, che ci raggruppa e ci guida nelle operazioni di controllo necessarie per il secondo volo per Amman. Prima dell'imbarco l'attesa è lunga e per non annoiarci andiamo in giro a guardare le vetrine, attratte soprattutto dai souvenir e dai ricchi e luccicanti abiti egiziani. Alle 23,00 decolliamo dal Cairo; ci viene offerta la cena in volo e mezz'ora dopo la mezzanotte ci troviamo ad Amman, dove un accompagnatore giordano ci guida in un piccolo autobus presso il Landmarkhotel.
PRIMA PARTE
Giordania settentrionale con pernottamenti ad Amman
2° giorno – 10 ottobre domenicaLa nostra guida giordana si chiama Jad: è di carnagione scura e stranamente ha un accento romanesco. Ha studiato a Roma, dove si è laureato in architettura e ha sposato una bionda salernitatana, di professione psichiatra. Jiad di buon mattino ci guida con un pulmino nella città di Amman, diretto verso la "Cittadella". Le strade che percorriamo uscendo dal nostro albergo e i palazzi appaiono simili a quelli di ogni città moderna.
A causa di parecchi terremoti e disastri naturali Amman rimase niente più di un piccolo villaggio con annesso un mucchio di rovine fino all'anno 1887, quando arrivarono dal Caucaso alcune centinaia di Circassi di religione musulmana, per sottrarsi alle persecuzioni dello Zar Alessandro II. L'imperatore ottomano li aveva accolti nella zona brulla, ma ricca di pozzi e rigagnoli che si gettavano nel vicino fiume Giordano. I contadini circassi fecero del loro meglio per restituire un po' di fertilità a quella terra, che un tempo era stata florida.
Oggi i circassi di Amman si riconoscono dai tratti somatici slavi (occhi azzurri, capelli biondi, pelle chiara). Ai circassi, nei primi del Novecento, si aggiunsero le tribù beduine venute dall'Arabia al seguito dell'emiro Abdullah, bisnonno dell'attuale re, e del famoso colonnello inglese Lawrence d'Arabia. Le due etnie divennero complementari: i circassi si dedicarono prevalentemente alle professioni, ai mestieri, agli impieghi civili; i beduini rimasero gli esponenti di una casta militare e rappresentano ancor oggi il braccio armato del regno.
Durante i tre conflitti arabo-israeliani (1948, 1956, 1967) i circassi e i beduini furono sommersi dal massiccio arrivo dei profughi palestinesi, che sconvolsero la struttura sociale di Amman, costituendo ancor oggi il 70 per cento della popolazione.
Arrivati ai piedi della "Cittadella", posta su uno sperone di roccia a strapiombo e un tempo circondata da mura, alziamo lo sguardo in alto, mentre il nostro autobus imbocca la strada in salita per raggiungere il cuore della città antica. Scesi a terra, si offre ai nostri occhi una vista mozzafiato: il panorama completo di Amman, che si presenta fitta di case costruite su 22 colline (gebel) attorno alla città bassa, caratterizzata da un grande teatro greco-romano.
Amman: teatro greco-romano nella città bassa
Ruderi di una chiesa bizantina del VI secolo
Procedendo oltre ci fermiamo presso un edificio (Al-Qasr) recentemente ristrutturato, e affiancato da una grande cisterna costruita in epoca romana per la raccolta dell'acqua piovana. Il ritrovamento nel sito di una moneta del periodo 720-750 fa ritenere che l'edificio appartenesse a un grande complesso usato sia come residenza del governatore, che come palazzo amministrativo. Ammiriamo la volta dell'edificio in legno e le de fini decorazioni in pietra, come si vede nelle due foto sottostanti.
Esaurita la visita alla Cittadella, scendiamo con l'autobus nella parte bassa della città per la visita al Teatro greco-romano, fiancheggiato da una strada limitata a sinistra da un colonnato con capitelli corinzi.
Costruito nel II secolo d.C., il teatro è addossato a tre lati del pendio collinare e ha una capienza di circa 7.000 spettatori. Viene tutt'oggi utilizzato per le rappresentazioni.
Risaliamo sul pulmann e percorriamo le vie strette e affollate dei quartieri popolarari. Lungo il percorso ci fermiamo presso una agenzia di cambio per rifornirci di denaro locale. Il dinaro giordano viene cambiato con 0,97 euro.
Risaliamo sul pulmann e percorriamo le vie strette e affollate dei quartieri popolarari. Lungo il percorso ci fermiamo presso una agenzia di cambio per rifornirci di denaro locale. Il dinaro giordano viene cambiato con 0,97 euro.
Le mie compagne di viaggio si mettono in fila davanti alla prima bottega di spezie, per acquistare zafferano, cannella, pistacchi, ecc. mentre io mi diverto a scattare foto cercando di catturare i volti e i costumi dei passanti, evitando di farmi scoprire.
Sono timorosa di farmi vedere con l'obiettivo puntato, soprattutto alle donne nascoste sotto il burqa nero. Non hanno il burqa completo come le afgane, ma quello tutto nero che copre il volto con una maschera di stoffa, che lascia solo una fessura per gli occhi. Questo costume musulmano, mi amareggia, mi rivolta. Tutte le creature viventi, piante e animali, hanno bisogno del sole, creato per la vita. Perché privarsene? Non è un delitto contro la natura?
Jad, a cui mi rivolgo per avere spiegazioni, mi informa che le donne che si incontrano con il burqa non sono della Giordania, ma dell'Arabia Saudita. Le donne giordane indossano una tunica lunga che copre tutto il corpo e coprono il capo con il velo islamico. Le studentesse sono più moderne nell'abbigliamento, ma non rinunciano al velo islamico.
Jad mi informa altresì che le arabe saudite, ricchissime, si truccano sotto il burqa e indossano biancheria intima costosissima, acquistata nei negozi occidentali.
Riprendiamo il pullman, attraversiamo ancora i quartieri popolari pieni di botteghe di ogni genere e ci fermiamo per il pranzo in un ristorante della città con cucina tipica.
La cucina Giordana ha origini beduine ed è basata soprattutto sull'uso di carne di agnello e montone, accompagnata da riso e da numerose e saporite verdure. I piatti sono elaborati, ricchi di spezie (non eccessivamente piccanti) e di aromi. Un pasto in genere inizia con una serie di piatti stuzzicanti che hanno la stessa funzione degli antipasti e si consumano con il pane in attesa del piatto principale, poi prosegue con una specialità a base di carne e verdura; alla fine del pranzo si consumano frutta o dessert.
Pietanze della cucina giordana
La visita ad Amman è conclusa. Risaliti sul pullman ci apprestiamo a lasciare la città, diretti nel vicino deserto orientale, per visitare i cosiddetti "Castelli del deserto", distanti alcune decine di chilometri dalla capitale. Lo stomaco pieno e il movimento del pullman conciliano il sonno.I castelli del deserto, splendidi esempi dell’arte e dell’architettura islamica dell’antichità, testimoniano un’epoca affascinante della ricca storia del paese. I loro raffinati mosaici, affreschi, incisioni e stucchi, ispirati alle migliori tradizioni persiane e greco-romane, illustrano innumerevoli storie di vita dell’VIII secolo. Chiamati castelli per la loro imponente mole, i complessi del deserto avevano in effetti vari scopi e fungevano da stazioni per le carovane, centri agricoli e commerciali, punti di ristoro e avamposti utili ai lontani regnanti per stringere legami con i beduini locali.
Il primo castello presso cui ci fermiamo si chiama Qasr al-Azrak. Per ricordarne il nome ne ho fotografato la targa di pietra su un muretto del cortile.
Il primo castello presso cui ci fermiamo si chiama Qasr al-Azrak. Per ricordarne il nome ne ho fotografato la targa di pietra su un muretto del cortile.
L'importanza strategica del castello è quella di trovarsi nel bel mezzo dell'oasi di Azraq, l'unica fonte permanente di acqua in circa 12.000 kmq di deserto. Diverse civiltà sono note per avere occupato il sito, per il suo valore strategico, in questa sperduta e arida zona desertica.
La zona fu abitata dai Nabatei ed intorno a circa l'anno 200 cadde sotto il controllo dei Romani che costruirono, utilizzando il basalto locale, una struttura che è stata utilizzata anche dai bizantini e dagli Omayyadi. Lawrence d'Arabia ne fece il suo quartier generale nel deserto nell'inverno del 1917, durante la Grande Rivolta Araba contro l'Impero ottomano (il castello è anche noto come Castello di Lawrence d'Arabia). Il suo ufficio era una stanza sopra il corpo di guardia dell'ingresso.
Foto a sinistra: Una delle porte in granito, del peso di tre tonnellate
Le porte di pietra possono facilmente essere spostate, grazie ai cardini lubrificati con olio di palma.
All'uscita dal castello acquistiamo da un beduino (dall'arabo bedu che significa abitante del deserto) dei cappellini da sole e alcune kefiah, i tipici copricapi arabi. Quelle giordane sono teli a quadrettini rossi e bianchi; quelle palestinesi sono a quadrettini neri e bianchi.
Nel viaggio per raggiungere il secondo castello ammiriamo lo strano paesaggio intorno. Il deserto piatto e nudo è attraversato dalla strada asfaltata che luccica come l'argento al sole del tramonto. Un filo spinato, che corre alla nostra sinistra, limita una zona militare; ma non c'è alcun movimento né segno vita.
Arrivati al secondo castello (Qusayr Amra) ci viene incontro un bel giovane beduino che accoglie gentilmente la nostra guida e noi. Mi pare di aver capito che la sua famiglia è proprietaria del castello.
Qusayr Amra (il piccolo palazzo di Amra) è un bagno termale costruito durante la prima metà dell’VIII secolo nella steppa della Giordania, distante da ogni altro insediamento. Il complesso termale consiste di tre camere che corrispondono allo spogliatoio e alle stanze con l’acqua tiepida e calda. La cosa più impressionante di Qusayr Amra sono gli affreschi che coprono praticamente tutte le superfici interne. Il repertorio iconografico include scene di caccia, bagnanti, lottatori, arcieri, musicisti e ballerini: vi sono inoltre pannelli che ritraggono varie attività artigianali e attività legate all’edificazione della struttura. Sorprende, in questi dipinti, la presenza di un vasto numero di donne nude o seminude che lascia perplessi poiché sono evidentemente in contrasto con quanto ci si aspetta da un musulmano che commissiona un simile edificio agli inizi del periodo islamico, probabilmente intorno al 740-750 d.C. Gli affreschi di Qusayr Amra sono particolarmente importanti in quanto offrono una varietà di temi iconografici che non hanno pari in nessun altro monumento contemporaneo e perché rappresentano un momento storico fondamentale, che vedeva la formazione dell’arte islamica e la successiva inclusione fra i capolavori dichiarati patrimonio mondiale.
Affresco di Qusayr Amra
Affresco di Qusayr Amra
Affresco di Qusayr Amra
Dopo la visita al castello di Amra il giovane beduino ci ospita nella sua tenda e gentilmente ci offre il té, che ha un sapore migliore di quello che facciamo noi a casa.
All'interno della tenda, dal pavimento rivestito di tappeti e i sedili di pietra pure ricoperti di tappeti e cuscini, ci sono soltanto uomini. Lo sapevo già che le donne non vengono mai mostrate agli estranei. Scherzosamente il giovane beduino chiede la mano della più giovane del gruppo, Maria Elena, servendosi di Jad come interprete. Il giovane offre per la sua mano il castello di Amra e un gregge di pecore. Maria Elena chiede la sua età (9 anni meno di lei) ed esige che il beduino impari la lingua italiana. Il beduino accetta a patto che Maria Elena impari l'arabo. Ida, la più grande di noi per età, si propone al posto di Maria Elena. La sceneggiata, che viene filmata dalla mia telecamera, si conclude con una risata. Il beduino ci accompagna al nostro pulmino, vi sale con noi e si trattiene fino alla prossima fermata, parlando in arabo con la nostra guida.
Mariola posa col giovane beduino che ci ha ospitato
Il terzo castello visitato è quello di Kharana, costruito con le pietre del deserto. Sembra una sorta di fortino con delle feritoie sulle prime tre facciate. In realtà quelle che potrebbero essere scambiate per feritoie sono solo finestre piccole, ideate per non far passare la sabbia, il sole cocente e il vento; infatti esse sono leggermente incurvate all'interno affinché il vento, che trasporta la sabbia, non possa andare dritto e, urtando le pareti, possa invece far cadere la sabbia. Gli Omayyadi venivano nel Castello di Kharana soprattutto per cacciare volpi e conigli e per ricevere i capi beduini, che erano per loro alleati essenziali. Il castello fu usato solo per quaranta anni poiché, dopo la caduta degli Omayyadi di Damasco, divenne un alloggio per le carovane, ma poi il pozzo si prosciugò ed anche i beduini lo abbandonarono. I fuochi dei beduini, che accendevano la sera per ripararsi dal freddo, qui come negli altri due castelli, hanno danneggiato molto la pietra del castello, restaurata solo molto tempo dopo dalla sua riscoperta nel Novecento.
Quando usciamo dal castello sono le 17,45 e il sole è al tramonto. Ci avviamo verso il nostro piccolo autobus guardandoci intorno stupiti e disorientati: il deserto è un'immensa tavola piatta di pietra che ha per confine soltanto il cielo.
Allontanandoci dal Castello, che è l'unica costruzione visibile, quasi un punto nell'immensità, provo uno strano senso di quiete, di armonia. Siamo tra la terra e il cielo senza nulla intorno. Fotografiamo il sole che manda i suoi ultimi bagliori gialli e raggiungiamo il nostro mezzo che ci aspetta. Percorriamo per tanto tempo la strada nel deserto, fino a quando si vedono le prime case e le città senza alcuna macchia verde, che si mimetizzano col deserto. Scorrono sotto il nostro sguardo, mentre Jad ne pronuncia il nome e il numero degli abitanti. Al calar della sera si vedono le luci accese delle case. La nostra giornata è terminata. Raggiungiamo Amman e il nostro albergo, dove ci aspetta la cena.
3° giorno – 11 ottobre lunedìOggi avremo una giornata intensa di visite. Siamo diretti al nord della Giordania, a poca distanza dal confine con la Siria e Israele. La prima sosta la facciamo a Umm Qais, costruita sull'antica città ellenistico-romana di Gadara, considerata la nuova Atene dell'antichità. Percorriamo a piedi il sito archeologico tra colonnati, capitelli; ci sediamo sui gradini di basalto nero del teatro ovest, l'unico rivolto verso Roma, frequentato dal ceto sociale colto, prima greco, poi romano; camminiamo su un terreno concavo, sotto il quale c'è un altro teatro (teatro nord) da scavare e da scoprire; passiamo tra sarcofagi, tra cui quello di un filosofo del luogo che diceva che bisogna vivere la vita per trarne il massimo godimento; tra chiese cristiane e mosaici bizantini. Nel 747 la città fu distrutta da un terremoto e abbandonata definitivamente.
Lasciamo Gadara, arricchiti di quanto appreso in mattinata, e ci avviamo in pulmino verso il castello musulmano di Ajlun, vicino al fiume Giordano, che fa da confine con Israele.
E' una maestosa costruzione eretta da un generale del Saladino nel 1184 d.C. per controllare le miniere di ferro locali e scongiurare l’invasione di Ajlun da parte dei Franchi. lI Castello di Ajlun divenne una roccaforte importante contro i Crociati, che tentarono invano per decenni di espugnarlo insieme al villaggio circostante.
Abbiamo faticato un po' per visitarlo tutto, salendo le scale, percorrendo sale e corridoi, affacciandoci dalle feritoie. Saliti nella parte più alta abbiamo potuto girare lo sguardo a 360 gradi e ammirare il verdeggiante paesaggio e il paese sottostante.
Esaurita la nostra curiosità, dopo aver visitato ogni angolo, iniziamo la discesa dal terrazzo del castello, ripercorrendo le varie rampe di scala, corridoi e sale, fino ad arrivare alla strada, dove è parcheggiato il nostro autobus che riprendiamo per proseguire il nostro viaggio fino alla vicina città di Jerash, dove in un ristorante locale siamo attesi per il pranzo. La nostra sosta non è nella città nuova, ma in quella vecchia adiacente, che si chiama Gerasa.
Il primo insediamento di una certa importanza avvenne ad opera dei Greci dopo la conquista di Alessandro Magno; tuttavia Gerasa divenne veramente importante solo con l'avvento dei Romani. Nel corso dei due secoli successivi, Gerasa strinse rapporti commerciali coi Nabatei e grazie ai profitti del commercio e dell'agricoltura, la città divenne ricca e fiorente.
Nel I secolo d.C. la città venne ridisegnata e assunse il classico aspetto del modello romano: una strada colonnata principale in direzione nord-sud (cardo massimo) intersecata da due strade orientate in direzione est-ovest (decumani).
Quando Adriano visitò Gerasa nel 129 c'erano ventimila abitanti, ed in suo onore a sud della città venne edificato un Arco di trionfo. Attualmente Gerasa è la seconda attrazione turistica del paese, preceduta solamente dalle rovine di Petra.
Il devastante terremoto del 747 determinò il declino definitivo di Gerasa, la cui popolazione si ridusse ad un quarto di quella originaria. Nei secoli successivi la città fu completamente abbandonata, fino all'arrivo dei Circassi dalla Russia, nel 1878. A seguito di questa migrazione si comprese l'importanza archeologica del sito e vennero intraprese le prime opere di scavo. Gerasa appare in un eccezionale stato di conservazione. Le numerose colonne, costruite con sistemi antisismici, non sono mai crollate, a differenza dei muri delle case. Tutte le colonne oscillano sulle loro basi e un guardiano del luogo ce ne dà la dimostrazione spingendone una con tutta la sua forza: poiché l'oscillazione non si vede a occhio nudo, il guardiano introduce il manico di comune cucchiaio da tavola nell'intercapedine tra la colonna e la base: mentre la colonna oscilla, il cucchiaio si muove su e giù. Ho filmato l'operazione con la mia telecamera.
Alle 8,30 lasciamo con i bagagli il Landmarkhotel e la città di Amman. Salutiamo la guida di Amman, Jaid, che viene sostituita da un'altra di nome Mamun. A Differenza di Jaid, che ha la pelle scura, Mamun è chiaro di carnagione perché sua madre è una cosacca. Anche lui, come Jaid, ha studiato a Roma laureandosi in archeologia e ha sposato un'italiana di Udine, che si è convertita volontariamente all'islamismo. Mentre Jaid non pratica alcuna religione, sentendosi cittadino del mondo, Mamun è un credente e praticante islamico.
Oggi inizia la seconda parte del viaggio, durante il quale percorreremo l'antica Strada dei Re che va da Amman fino ad Aqaba, su cui sono passati 5000 anni di storia. La "Strada dei Re", usata da Nabatei, Romani, Ottomani, Inglesi, turisti e pellegrini di ogni nazione, sarà percorsa oggi anche da noi.
La prima sosta la facciamo presso il biblico Monte Nebo, dove, secondo la tradizione, Mosè, dopo quarant'anni di esodo nel deserto, riuscì a vedere la terra promessa e a mostrarla agli Ebrei.
Il piazzale antistante la chiesa dedicata al profeta, offre una vista mozzafiato sulla Valle del Giordano e sul Mar Morto, fino ai tetti di Gerusalemme e Betlemme. Si vede anche la città di Amman in cui si distinguono chiaramente le due Torri gemelle, non ancora terminate.
Poi ci fermiamo a Madaba, fondata quasi 3500 anni fa. Fu dominata prima dagli israeliti, poi divenne colonia romana nel 63 d.C. e continuò a prosperare in epoca bizantina e omayyade. I mosaici romani e bizantini raggiunsero il loro apice fra il II e il V secolo d.C.
La “città dei mosaici” è nota per le centinaia di mosaici che impreziosiscono le sue case e le sue chiese, fra cui la celebre mappa a mosaico bizantina del VI secolo, che rappresenta Gerusalemme e altri luoghi sacri biblici., che si trova nella Chiesa ortodossa di San Giorgio.
La mappa, che copre una parte del pavimento della chiesa, è un capolavoro che non ha eguali in Giordania: due milioni di pezzi di pietra colorata, che dipingono valli e colline, città e villaggi fino al delta del Nilo.
Da Madaba passiamo alla città di Kerak, dominata dall'imponente fortezza dei crociati, del XII secolo, situata al sommo di una collina a circa 950 metri sopra il livello del mare. Ma prima della visita, poiché è ora di pranzo, ci intratteniamo piacevolmente presso il ristorante che si trova all'interno del Castello. Anche qui, come ad Ajlun, percorriamo un dedalo di sale dalle volte in pietra e corridoi interminabili.
Il più famoso occupante del Castello fu Rinaldo di Chatillon (seconda crociata), la cui reputazione di uomo sleale, traditore e brutale rimane insuperata. Mamun, la nostra guida, ci racconta che catturava con agggguati i pellegrini musulmani che andavano alla Mecca e li buttava giù dal castello con la testa protetta da una scatola di legno, in modo che le vittime non morissero subito e soffrissero maggiormente. Ma poi il castello fu assediato e conquistato dal Saladino che catturò Rinaldo e lo fece decapitare.
6° giorno – 14 ottobre giovedì
La prima parte della giornata fino al pranzo è dedicata alla visita del deserto più grande della Giordania e il più affascinante del mondo, chiamato Wadi Rum (pron. Wadi Ram). E' detto anche deserto di Lawrence di Arabia che qui ebbe il suo quartier generale contro gli ottomani durante la prima guerra mondiale. Nel suo diario definì il Wadi Rum “immenso, echeggiante, divino”.
Prima di partire per la Giordania avevo visto il film "Lawrence di Arabia", vincitore di ben sette premi Oscar (1962), in cui numerose scene sono state girate nel deserto di Wadi Rum, che mi aveva colpito per i colori accesi dell'ocra e del rosso e per la spettacolarità delle rocce che emergono dalla sabbia.
Divisi in due camionette guidate da due autisti giordani in tunica candida e dalla tipica kefia a quadrettini bianchi e rossi, percorriamo una breve strada asfaltata a che subito si perde nella sabbia. Siamo sballottati dalle ondulazioni del terreno sabbioso, che mi impedisce di fare le riprese con la telecamera. La guida però ci fa fermare e scendere nei luoghi più spettacolari, o per farci ammirare le imponenti rocce erose dal capriccio del vento e della sabbia o per indicarci delle figure o delle iscrizioni in aramaico incise sulle pareti della roccia dagli antinchi abitanti del deserto. Il vento di ottobre è piacevolmente caldo e asciutto; l'estensione dei luoghi non suscita smarrimento, ma una sensazione di serenità. Lia, Maria Elena e Rosalba si tolgono le scarpe e camminano affondando i piedi nella sabbia finissima e morbida come il velluto.
Non voglio cercare le parole per descrivere la bellezza dei luoghi. Le fotografie sono più eloquenti.
Sotto la tenda su un banco sono esposti dei souvenir. La tentazione degli acquisti è irresistibile per tutti noi, anche perché i prezzi sono modesti. Io acquisto una kefia, che indosso per sentirmi in armonia con l'ambiente, una collana di osso di cammello e un'altra ancora di una lega d'argento, tipicamente beduina, carica di pietre colorate.
Qui termina la nostra visita al Wadi Rum. Risaliamo sulle camionette e torniamo indietro per altri percorsi, tutti stupendi, fino ad arrivare al grande parcheggio delle camionette, al punto di partenza. Sul luogo c'è un ristorante, dove consumiamo il nostro pranzo. Di fronte ammiriamo una montagna famosa, dalle sette scanalature. E' la montagna che ispirò a Lawrence d'Arabia il titolo del suo diario "I sette pilastri della saggezza", da cui a sua volta la montagna ha preso il nome.
All'interno della tenda, dal pavimento rivestito di tappeti e i sedili di pietra pure ricoperti di tappeti e cuscini, ci sono soltanto uomini. Lo sapevo già che le donne non vengono mai mostrate agli estranei. Scherzosamente il giovane beduino chiede la mano della più giovane del gruppo, Maria Elena, servendosi di Jad come interprete. Il giovane offre per la sua mano il castello di Amra e un gregge di pecore. Maria Elena chiede la sua età (9 anni meno di lei) ed esige che il beduino impari la lingua italiana. Il beduino accetta a patto che Maria Elena impari l'arabo. Ida, la più grande di noi per età, si propone al posto di Maria Elena. La sceneggiata, che viene filmata dalla mia telecamera, si conclude con una risata. Il beduino ci accompagna al nostro pulmino, vi sale con noi e si trattiene fino alla prossima fermata, parlando in arabo con la nostra guida.
Mariola posa col giovane beduino che ci ha ospitato
Il terzo castello visitato è quello di Kharana, costruito con le pietre del deserto. Sembra una sorta di fortino con delle feritoie sulle prime tre facciate. In realtà quelle che potrebbero essere scambiate per feritoie sono solo finestre piccole, ideate per non far passare la sabbia, il sole cocente e il vento; infatti esse sono leggermente incurvate all'interno affinché il vento, che trasporta la sabbia, non possa andare dritto e, urtando le pareti, possa invece far cadere la sabbia. Gli Omayyadi venivano nel Castello di Kharana soprattutto per cacciare volpi e conigli e per ricevere i capi beduini, che erano per loro alleati essenziali. Il castello fu usato solo per quaranta anni poiché, dopo la caduta degli Omayyadi di Damasco, divenne un alloggio per le carovane, ma poi il pozzo si prosciugò ed anche i beduini lo abbandonarono. I fuochi dei beduini, che accendevano la sera per ripararsi dal freddo, qui come negli altri due castelli, hanno danneggiato molto la pietra del castello, restaurata solo molto tempo dopo dalla sua riscoperta nel Novecento.
Quando usciamo dal castello sono le 17,45 e il sole è al tramonto. Ci avviamo verso il nostro piccolo autobus guardandoci intorno stupiti e disorientati: il deserto è un'immensa tavola piatta di pietra che ha per confine soltanto il cielo.
Allontanandoci dal Castello, che è l'unica costruzione visibile, quasi un punto nell'immensità, provo uno strano senso di quiete, di armonia. Siamo tra la terra e il cielo senza nulla intorno. Fotografiamo il sole che manda i suoi ultimi bagliori gialli e raggiungiamo il nostro mezzo che ci aspetta. Percorriamo per tanto tempo la strada nel deserto, fino a quando si vedono le prime case e le città senza alcuna macchia verde, che si mimetizzano col deserto. Scorrono sotto il nostro sguardo, mentre Jad ne pronuncia il nome e il numero degli abitanti. Al calar della sera si vedono le luci accese delle case. La nostra giornata è terminata. Raggiungiamo Amman e il nostro albergo, dove ci aspetta la cena.
3° giorno – 11 ottobre lunedìOggi avremo una giornata intensa di visite. Siamo diretti al nord della Giordania, a poca distanza dal confine con la Siria e Israele. La prima sosta la facciamo a Umm Qais, costruita sull'antica città ellenistico-romana di Gadara, considerata la nuova Atene dell'antichità. Percorriamo a piedi il sito archeologico tra colonnati, capitelli; ci sediamo sui gradini di basalto nero del teatro ovest, l'unico rivolto verso Roma, frequentato dal ceto sociale colto, prima greco, poi romano; camminiamo su un terreno concavo, sotto il quale c'è un altro teatro (teatro nord) da scavare e da scoprire; passiamo tra sarcofagi, tra cui quello di un filosofo del luogo che diceva che bisogna vivere la vita per trarne il massimo godimento; tra chiese cristiane e mosaici bizantini. Nel 747 la città fu distrutta da un terremoto e abbandonata definitivamente.
Rovine di Gadara
Rovine di Gadara
La stradina bianca serpeggiante, al di qua delle alture del Golan, è il confine tra la Giordania e i "territori occupati" da Israele
Salendo sul punto più alto della città antica si vede un ampio panorama, ma non mi aspetto di provare una emozione particolare, quando Jad, puntando il dito davanti a sé dice:
- Quel lago che vedete davanti a voi è il Lago Tiberiade, in Israele, o Mare di Galilea e quel paesino in riva al lago è israeliano. I Vangeli narrano che Gesù visitò più volte molte località poste sulle rive del lago, attraversandolo spesso in barca.
Spostando il dito a destra del lago, Jad indica una catena di colline: sono le alture del Golan che nella guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967) gli Israeliani strapparono alla Siria; e quei campi coltivati al di qua del Golan sono i cosiddetti "territori occupati", strappati dagli israeliani alla Siria; e quella stradina bianca serpeggiante sotto i nostri occhi, che delimita un fossato naturale, segna l'attuale confine tra la Giordania e i "territori occupati" da Israele.
Mi pare incredibile trovarmi davanti a dei luoghi storici così importanti e vedermeli di fronte come su una carta geografica. Prendo dalla borsa la mappa del Medio Oriente e confronto le terre disegnate con quelle naturali davanti a me. Con una passeggiata potrei raggiungere Israele o la Siria. Oltre il lago Tiberiade si vedono, sfumati dalla lontananza, anche i monti del Libano. Nella carta della Giordania il luogo da dove guardo i confini è segnato come Umm Qais (nome odierno di Gadara).
- Quel lago che vedete davanti a voi è il Lago Tiberiade, in Israele, o Mare di Galilea e quel paesino in riva al lago è israeliano. I Vangeli narrano che Gesù visitò più volte molte località poste sulle rive del lago, attraversandolo spesso in barca.
Spostando il dito a destra del lago, Jad indica una catena di colline: sono le alture del Golan che nella guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967) gli Israeliani strapparono alla Siria; e quei campi coltivati al di qua del Golan sono i cosiddetti "territori occupati", strappati dagli israeliani alla Siria; e quella stradina bianca serpeggiante sotto i nostri occhi, che delimita un fossato naturale, segna l'attuale confine tra la Giordania e i "territori occupati" da Israele.
Mi pare incredibile trovarmi davanti a dei luoghi storici così importanti e vedermeli di fronte come su una carta geografica. Prendo dalla borsa la mappa del Medio Oriente e confronto le terre disegnate con quelle naturali davanti a me. Con una passeggiata potrei raggiungere Israele o la Siria. Oltre il lago Tiberiade si vedono, sfumati dalla lontananza, anche i monti del Libano. Nella carta della Giordania il luogo da dove guardo i confini è segnato come Umm Qais (nome odierno di Gadara).
Lasciamo Gadara, arricchiti di quanto appreso in mattinata, e ci avviamo in pulmino verso il castello musulmano di Ajlun, vicino al fiume Giordano, che fa da confine con Israele.
E' una maestosa costruzione eretta da un generale del Saladino nel 1184 d.C. per controllare le miniere di ferro locali e scongiurare l’invasione di Ajlun da parte dei Franchi. lI Castello di Ajlun divenne una roccaforte importante contro i Crociati, che tentarono invano per decenni di espugnarlo insieme al villaggio circostante.
Abbiamo faticato un po' per visitarlo tutto, salendo le scale, percorrendo sale e corridoi, affacciandoci dalle feritoie. Saliti nella parte più alta abbiamo potuto girare lo sguardo a 360 gradi e ammirare il verdeggiante paesaggio e il paese sottostante.
Esaurita la nostra curiosità, dopo aver visitato ogni angolo, iniziamo la discesa dal terrazzo del castello, ripercorrendo le varie rampe di scala, corridoi e sale, fino ad arrivare alla strada, dove è parcheggiato il nostro autobus che riprendiamo per proseguire il nostro viaggio fino alla vicina città di Jerash, dove in un ristorante locale siamo attesi per il pranzo. La nostra sosta non è nella città nuova, ma in quella vecchia adiacente, che si chiama Gerasa.
Il primo insediamento di una certa importanza avvenne ad opera dei Greci dopo la conquista di Alessandro Magno; tuttavia Gerasa divenne veramente importante solo con l'avvento dei Romani. Nel corso dei due secoli successivi, Gerasa strinse rapporti commerciali coi Nabatei e grazie ai profitti del commercio e dell'agricoltura, la città divenne ricca e fiorente.
Nel I secolo d.C. la città venne ridisegnata e assunse il classico aspetto del modello romano: una strada colonnata principale in direzione nord-sud (cardo massimo) intersecata da due strade orientate in direzione est-ovest (decumani).
Quando Adriano visitò Gerasa nel 129 c'erano ventimila abitanti, ed in suo onore a sud della città venne edificato un Arco di trionfo. Attualmente Gerasa è la seconda attrazione turistica del paese, preceduta solamente dalle rovine di Petra.
Arco di Adriano (129 d.C)
Il devastante terremoto del 747 determinò il declino definitivo di Gerasa, la cui popolazione si ridusse ad un quarto di quella originaria. Nei secoli successivi la città fu completamente abbandonata, fino all'arrivo dei Circassi dalla Russia, nel 1878. A seguito di questa migrazione si comprese l'importanza archeologica del sito e vennero intraprese le prime opere di scavo. Gerasa appare in un eccezionale stato di conservazione. Le numerose colonne, costruite con sistemi antisismici, non sono mai crollate, a differenza dei muri delle case. Tutte le colonne oscillano sulle loro basi e un guardiano del luogo ce ne dà la dimostrazione spingendone una con tutta la sua forza: poiché l'oscillazione non si vede a occhio nudo, il guardiano introduce il manico di comune cucchiaio da tavola nell'intercapedine tra la colonna e la base: mentre la colonna oscilla, il cucchiaio si muove su e giù. Ho filmato l'operazione con la mia telecamera.
Gerasa: il grandioso palcoscenico del teatro sudGerasa: cavea del teatro sud
Gerasa: il teatro nord utilizzato per le audizioni di musica e poesiaGerasa: il ninfeo consacrato alle divinità delle fonti
Gerasa: Tempio di Artemide
4° giorno – 12 ottobre martedìGerasa: il teatro nord utilizzato per le audizioni di musica e poesiaGerasa: il ninfeo consacrato alle divinità delle fonti
Abbiamo trascorso il pomeriggio girando per la città antica, che ha avuto in me un forte impatto emotivo. Percorrevo la larga e lunga strada principale, il cardo massimo, ornata da alte colonne con capitelli corinzi, attraversavo la grandissima piazza ovale, anch'essa limitata da alte colonne, incrociavo il decumano (la strada perpendicolare al cardo), mi soffermavo ad ammirare le eleganti colonne corinzie del tempio di Artemide e immaginavo di essere nel I secolo d.C., al tempo di Adriano o di Traiano. Non mi aspettavo di trovare in Giordania una antica città romana così estesa, magnifica e ben conservata.
Gerasa: Tempio di Artemide
Sono le ore 18. Ripercorriamo la strada del ritorno fermandoci ad ammirare i mosaici del pavimento di una chiesa bizantina scoperta, passiamo vicino al teatro nord e usciamo dalla città per riprendere il pullman e tornare nel nostro albergo di Amman per la cena.
Dopo cena con i taxi ci concediamo un giro per Amman di notte. Rivediamo la città dalle finestre illuminate sulle 22 colline attorno al teatro greco-romano che pare il suo ombelico. Le strade sono tranquille e quasi deserte. Non si vedono donne in giro.
Gerasa: mosaici della chiesa bizantina di Cosma e Damiano
Domani mattina lasceremo Amman per scendere nel sud della Giordania fino ad Aqaba.Dopo cena con i taxi ci concediamo un giro per Amman di notte. Rivediamo la città dalle finestre illuminate sulle 22 colline attorno al teatro greco-romano che pare il suo ombelico. Le strade sono tranquille e quasi deserte. Non si vedono donne in giro.
Alle 8,30 lasciamo con i bagagli il Landmarkhotel e la città di Amman. Salutiamo la guida di Amman, Jaid, che viene sostituita da un'altra di nome Mamun. A Differenza di Jaid, che ha la pelle scura, Mamun è chiaro di carnagione perché sua madre è una cosacca. Anche lui, come Jaid, ha studiato a Roma laureandosi in archeologia e ha sposato un'italiana di Udine, che si è convertita volontariamente all'islamismo. Mentre Jaid non pratica alcuna religione, sentendosi cittadino del mondo, Mamun è un credente e praticante islamico.
Oggi inizia la seconda parte del viaggio, durante il quale percorreremo l'antica Strada dei Re che va da Amman fino ad Aqaba, su cui sono passati 5000 anni di storia. La "Strada dei Re", usata da Nabatei, Romani, Ottomani, Inglesi, turisti e pellegrini di ogni nazione, sarà percorsa oggi anche da noi.
La prima sosta la facciamo presso il biblico Monte Nebo, dove, secondo la tradizione, Mosè, dopo quarant'anni di esodo nel deserto, riuscì a vedere la terra promessa e a mostrarla agli Ebrei.
Il piazzale antistante la chiesa dedicata al profeta, offre una vista mozzafiato sulla Valle del Giordano e sul Mar Morto, fino ai tetti di Gerusalemme e Betlemme. Si vede anche la città di Amman in cui si distinguono chiaramente le due Torri gemelle, non ancora terminate.
Poi ci fermiamo a Madaba, fondata quasi 3500 anni fa. Fu dominata prima dagli israeliti, poi divenne colonia romana nel 63 d.C. e continuò a prosperare in epoca bizantina e omayyade. I mosaici romani e bizantini raggiunsero il loro apice fra il II e il V secolo d.C.
La “città dei mosaici” è nota per le centinaia di mosaici che impreziosiscono le sue case e le sue chiese, fra cui la celebre mappa a mosaico bizantina del VI secolo, che rappresenta Gerusalemme e altri luoghi sacri biblici., che si trova nella Chiesa ortodossa di San Giorgio.
La mappa, che copre una parte del pavimento della chiesa, è un capolavoro che non ha eguali in Giordania: due milioni di pezzi di pietra colorata, che dipingono valli e colline, città e villaggi fino al delta del Nilo.
Da Madaba passiamo alla città di Kerak, dominata dall'imponente fortezza dei crociati, del XII secolo, situata al sommo di una collina a circa 950 metri sopra il livello del mare. Ma prima della visita, poiché è ora di pranzo, ci intratteniamo piacevolmente presso il ristorante che si trova all'interno del Castello. Anche qui, come ad Ajlun, percorriamo un dedalo di sale dalle volte in pietra e corridoi interminabili.
Il più famoso occupante del Castello fu Rinaldo di Chatillon (seconda crociata), la cui reputazione di uomo sleale, traditore e brutale rimane insuperata. Mamun, la nostra guida, ci racconta che catturava con agggguati i pellegrini musulmani che andavano alla Mecca e li buttava giù dal castello con la testa protetta da una scatola di legno, in modo che le vittime non morissero subito e soffrissero maggiormente. Ma poi il castello fu assediato e conquistato dal Saladino che catturò Rinaldo e lo fece decapitare.
Dal castello di Kerak si gode una splendida vista fino al Mar Morto
Alla fine del percorso ci sono due ristoranti all'aperto, in uno dei quali è stato prenotato il nostro pranzo. Rifocillati e riposati, ripercorriamo la via del ritorno, (altri cinque chilometri) rivedendo con piacere i luoghi già visti, cercando di fissarli nella nostra memoria. La stanchezza del cammino si fa sentire. Ogni tanto sentiamo la necessità di sederci su un masso per riposarci e aspettare coloro che sono ancora indietro. Il punto di ritrovo per tutti è il "tesoro del Faraone". Ci attardiamo ancora un po' per scattare altre foto, per lo più di gruppo. La luce è cambiata rispetto a quella della mattina e la roccia assume altre sfumatre di colore. Alle ore 17,00 siamo tutti pronti per salire sul pullman e tornare in albergo ad Aqaba
Kerak è l'ultima visita prevista per oggi. Saliamo dul nostro autobus e riprendiamo il viaggio per raggiungere la città più meridionale della Giordania, Aqaba, l'unica che si affaccia sul Mar Rosso. Lo spettacolo che scorre davanti ai nostri occhi è superiore ai monumenti finora visti: è lo spettacolo dell'opera della Natura che domina imperioso. Percorriamo ancora la strada dei Re che serpeggia tra rocce scavate dal vento e dalla sabbia, costeggiando il Mar Morto che si adagia sulla depressione più profonda della terra, a 413 metri sotto il livello del mare. Il sole volge al tramonto, i colori della terra cambiano. Io sto seduta accanto all'autista col dito quasi fisso sul pulsante della telecamera per riprendere i paesaggi che voglio portare a casa e rivedere nello schermo della TV. Chiediamo a Mamun di fermarci e scendere dall'autobus per scattare delle foto. Sono visibili le saline del Mar Morto.
La strada lungo il Mar Morto
Le acque del Mar Morto vengono usate per la produzione di cloruro di potassio sia da società israeliane che giordane: vengono anche estratti bromo e magnesio, di cui il mare è ricco. L'estrazione viene fatta partendo dalle saline visibili nella foto.
Spesso vediamo passare dei mezzi pesanti che trasportano fosfati, diretti al porto di Aqaba.
Il sole tramonta, il cielo comincia a imbrunire, le rocce diventano cupe. Si vedono, poco lontano dalla strada, le luci dei villaggi.
Chiediamo a Mamun i loro nomi. Mamun dice che quei villaggi sono dei kibbuz israeliani.
Sia gli israeliani che i Giordani del confine passano da un paese all'altro senza passaporto, cambiando soltanto la targa alla propria automobile per evitare di essere fermati al posto di polizia.
Mi emoziona vedere che Israele è a pochi passi dalla nostra strada. Non si vede alcun confine naturale. Basterebbe scendere dal pullman, camminare a piedi per qualche centinaio di metri ed essere in Israele.
Appaiono le luci di un centro più grande ed di un altro accanto. Mamun ne indica uno dicendo che è Aqaba. E l'altro? E' Elath, la città più meridionale di Israele, unico porto sul Mar Rosso.
Alle ore 19,00 circa arriviamo all'Hotel Intercontinental di Aqaba, in tempo per occupare le camere assegnateci e prepararci per la cena.
5° giorno – 13 ottobre mercoledì
Secondo il programma di viaggio la giornata di oggi è dedicata a Petra.
Leggo nella Guida Touring:
"Unica al mondo per la sua bellezza e per le vestigia di varie epoche. Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco dal 1985 e riconosciuta nel 2007 come una delle nuove sette meraviglie del mondo, Petra, detta la "città rosa" per le fantastiche sfumature della sua roccia, è uno dei siti più noti del Vicino Oriente e sicuramente la meta più ambita di ogni viaggio in Giordania. Qui si combinano l'opera magistrale dell'uomo con quella potente e imperiosa della natura, che se da una parte ha regalato a questo luogo l'aspetto incredibile e mutevole dei giochi policromi, dall'altro scatena gli agenti atmosferici in un lento inesorabile lavorio di distruzione, che i ricercatori di oggi stanno cercando di rendere meno dannoso possibile".
Mamun preferisce cominciare la visita da Piccola Petra o Petra la Bianca, che è un sito archeologico collocato poco lontano dalla più nota Petra o Petra la Rossa, con la quale un tempo era identificato. Non avendo ancora visto Petra, Piccola Petra ci sembra un luogo molto suggestivo. Le abitazioni e i templi sono scavati nella roccia, come pure una canalizzazione che convogliava l'acqua piovana in grandi e numerose cisterne, pure scavate nella roccia.
Sono le 10,30 quando lasciamo Piccola Petra. Abbiamo il resto della giornata fino a sera per visitare il sito più famoso della Giordania.
Oltrepassato un cancello di ingresso, seguiamo per circa 300 metri il letto asciutto di uno wadi (letto pietroso di fiume sempre asciutto, tranne che nella stagione delle piogge). Lia e Maria lo percorrono a cavallo, io e le altre amiche con la la guida Mamun a piedi. Arriviamo all'inizio della spettacolare gola, lunga un chilometro e mezzo, detta Siq, stretta tra due ripide pareti di roccia multicolore, alte fino a 200 metri, che sembrano sfiorarsi. Si ha quasi una sensazione di smarrimento.
Percorriamo a piedi il Siq, tranne Mariola e Ida che hanno preferito il calesse. Camminando a piedi ci fermiamo ad ogni svolta ad ammirare le svariate forme e sfumature di colore della roccia, senza risparmiare gli scatti fotografici.
La meravigliosa sorpresa arriva quando ci avviciniamo all'uscita del Siq e intravediamo una fetta di un luminoso monumento, che all'improvviso, uscendo, ci appare in tutta la sua spettacolarità: è un tempio scavato nella montagna, chiamato fantasiosamente dai beduini il "tesoro del Faraone".
Un po' di storia
Petra fu nell'antichità una città degli edomiti (discendenti di Esaù) e poi divenne capitale dei Nabatei (provenienti dall'Arabia saudita). Nel I secolo d. C. se ne impadronirono i Romani. Nel periodo bizantino il Cristianesimo ebbe scarsa diffusione a Petra; nel V secolo si costruirono delle chiese cristiane. La conquista islamica ignorò Petra. Verso l'VIII secolo fu abbandonata in seguito alla decadenza dei commerci e a catastrofi naturali. Nel 1812 il viaggiatore svizzero Johann Ludwig Burckhardt la riscoprì.
La Natura, giocando con la roccia, ha scolpito una coppia di elefanti
La gola (Siq) che porta a Petra
Lawrence d'Arabia diceva: "Il più bel luogo della terra, non per le rovine ma per i colori delle rocce".
La roccia naturale più variegata e colorata la vediamo nella foto sopra. Mamun aiuta Maria Elena ad entrare in una cavità della roccia e la invita ad affacciarsi alla finestra a forma di cuore per una foto.
Oltre al fascino delle rocce scolpite, piace la calda atmosfera del luogo: tende di beduini, bancarelle, cavalli, cammelli, asini, bimbi beduini che ci offrono collane e braccialetti per pochi dinari. Qualche beduino si lascia fotografare.
Le foto non hanno bisogno di commenti.
Spesso vediamo passare dei mezzi pesanti che trasportano fosfati, diretti al porto di Aqaba.
Il sole tramonta, il cielo comincia a imbrunire, le rocce diventano cupe. Si vedono, poco lontano dalla strada, le luci dei villaggi.
Chiediamo a Mamun i loro nomi. Mamun dice che quei villaggi sono dei kibbuz israeliani.
Sia gli israeliani che i Giordani del confine passano da un paese all'altro senza passaporto, cambiando soltanto la targa alla propria automobile per evitare di essere fermati al posto di polizia.
Mi emoziona vedere che Israele è a pochi passi dalla nostra strada. Non si vede alcun confine naturale. Basterebbe scendere dal pullman, camminare a piedi per qualche centinaio di metri ed essere in Israele.
Appaiono le luci di un centro più grande ed di un altro accanto. Mamun ne indica uno dicendo che è Aqaba. E l'altro? E' Elath, la città più meridionale di Israele, unico porto sul Mar Rosso.
Alle ore 19,00 circa arriviamo all'Hotel Intercontinental di Aqaba, in tempo per occupare le camere assegnateci e prepararci per la cena.
5° giorno – 13 ottobre mercoledì
Secondo il programma di viaggio la giornata di oggi è dedicata a Petra.
Leggo nella Guida Touring:
"Unica al mondo per la sua bellezza e per le vestigia di varie epoche. Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco dal 1985 e riconosciuta nel 2007 come una delle nuove sette meraviglie del mondo, Petra, detta la "città rosa" per le fantastiche sfumature della sua roccia, è uno dei siti più noti del Vicino Oriente e sicuramente la meta più ambita di ogni viaggio in Giordania. Qui si combinano l'opera magistrale dell'uomo con quella potente e imperiosa della natura, che se da una parte ha regalato a questo luogo l'aspetto incredibile e mutevole dei giochi policromi, dall'altro scatena gli agenti atmosferici in un lento inesorabile lavorio di distruzione, che i ricercatori di oggi stanno cercando di rendere meno dannoso possibile".
Mamun preferisce cominciare la visita da Piccola Petra o Petra la Bianca, che è un sito archeologico collocato poco lontano dalla più nota Petra o Petra la Rossa, con la quale un tempo era identificato. Non avendo ancora visto Petra, Piccola Petra ci sembra un luogo molto suggestivo. Le abitazioni e i templi sono scavati nella roccia, come pure una canalizzazione che convogliava l'acqua piovana in grandi e numerose cisterne, pure scavate nella roccia.
Sono le 10,30 quando lasciamo Piccola Petra. Abbiamo il resto della giornata fino a sera per visitare il sito più famoso della Giordania.
Oltrepassato un cancello di ingresso, seguiamo per circa 300 metri il letto asciutto di uno wadi (letto pietroso di fiume sempre asciutto, tranne che nella stagione delle piogge). Lia e Maria lo percorrono a cavallo, io e le altre amiche con la la guida Mamun a piedi. Arriviamo all'inizio della spettacolare gola, lunga un chilometro e mezzo, detta Siq, stretta tra due ripide pareti di roccia multicolore, alte fino a 200 metri, che sembrano sfiorarsi. Si ha quasi una sensazione di smarrimento.
Percorriamo a piedi il Siq, tranne Mariola e Ida che hanno preferito il calesse. Camminando a piedi ci fermiamo ad ogni svolta ad ammirare le svariate forme e sfumature di colore della roccia, senza risparmiare gli scatti fotografici.
La meravigliosa sorpresa arriva quando ci avviciniamo all'uscita del Siq e intravediamo una fetta di un luminoso monumento, che all'improvviso, uscendo, ci appare in tutta la sua spettacolarità: è un tempio scavato nella montagna, chiamato fantasiosamente dai beduini il "tesoro del Faraone".
Il "tesoro del faraone"
Un po' di storia
Petra fu nell'antichità una città degli edomiti (discendenti di Esaù) e poi divenne capitale dei Nabatei (provenienti dall'Arabia saudita). Nel I secolo d. C. se ne impadronirono i Romani. Nel periodo bizantino il Cristianesimo ebbe scarsa diffusione a Petra; nel V secolo si costruirono delle chiese cristiane. La conquista islamica ignorò Petra. Verso l'VIII secolo fu abbandonata in seguito alla decadenza dei commerci e a catastrofi naturali. Nel 1812 il viaggiatore svizzero Johann Ludwig Burckhardt la riscoprì.
La Natura, giocando con la roccia, ha scolpito una coppia di elefanti
La gola (Siq) che porta a Petra
Usciti dalla gola, dobbiamo percorrere altri tre chilometri e mezzo a piedi per visitare fino in fondo la città scolpita. Che stupore! Terme, teatri, monasteri, strade colonnate, tombe reali e sale funerarie.
Lawrence d'Arabia diceva: "Il più bel luogo della terra, non per le rovine ma per i colori delle rocce".
La roccia naturale più variegata e colorata la vediamo nella foto sopra. Mamun aiuta Maria Elena ad entrare in una cavità della roccia e la invita ad affacciarsi alla finestra a forma di cuore per una foto.
Oltre al fascino delle rocce scolpite, piace la calda atmosfera del luogo: tende di beduini, bancarelle, cavalli, cammelli, asini, bimbi beduini che ci offrono collane e braccialetti per pochi dinari. Qualche beduino si lascia fotografare.
Le foto non hanno bisogno di commenti.
6° giorno – 14 ottobre giovedì
La prima parte della giornata fino al pranzo è dedicata alla visita del deserto più grande della Giordania e il più affascinante del mondo, chiamato Wadi Rum (pron. Wadi Ram). E' detto anche deserto di Lawrence di Arabia che qui ebbe il suo quartier generale contro gli ottomani durante la prima guerra mondiale. Nel suo diario definì il Wadi Rum “immenso, echeggiante, divino”.
Prima di partire per la Giordania avevo visto il film "Lawrence di Arabia", vincitore di ben sette premi Oscar (1962), in cui numerose scene sono state girate nel deserto di Wadi Rum, che mi aveva colpito per i colori accesi dell'ocra e del rosso e per la spettacolarità delle rocce che emergono dalla sabbia.
Divisi in due camionette guidate da due autisti giordani in tunica candida e dalla tipica kefia a quadrettini bianchi e rossi, percorriamo una breve strada asfaltata a che subito si perde nella sabbia. Siamo sballottati dalle ondulazioni del terreno sabbioso, che mi impedisce di fare le riprese con la telecamera. La guida però ci fa fermare e scendere nei luoghi più spettacolari, o per farci ammirare le imponenti rocce erose dal capriccio del vento e della sabbia o per indicarci delle figure o delle iscrizioni in aramaico incise sulle pareti della roccia dagli antinchi abitanti del deserto. Il vento di ottobre è piacevolmente caldo e asciutto; l'estensione dei luoghi non suscita smarrimento, ma una sensazione di serenità. Lia, Maria Elena e Rosalba si tolgono le scarpe e camminano affondando i piedi nella sabbia finissima e morbida come il velluto.
Non voglio cercare le parole per descrivere la bellezza dei luoghi. Le fotografie sono più eloquenti.
Lia, seduta su un masso, si è tolta le scarpe, e
affonda i piedi nella sabbia, soddisfatta del contatto
affonda i piedi nella sabbia, soddisfatta del contatto
Un beduino mi ha avvolto la testa con la kefia appena acquistata
Sotto la tenda su un banco sono esposti dei souvenir. La tentazione degli acquisti è irresistibile per tutti noi, anche perché i prezzi sono modesti. Io acquisto una kefia, che indosso per sentirmi in armonia con l'ambiente, una collana di osso di cammello e un'altra ancora di una lega d'argento, tipicamente beduina, carica di pietre colorate.
Qui termina la nostra visita al Wadi Rum. Risaliamo sulle camionette e torniamo indietro per altri percorsi, tutti stupendi, fino ad arrivare al grande parcheggio delle camionette, al punto di partenza. Sul luogo c'è un ristorante, dove consumiamo il nostro pranzo. Di fronte ammiriamo una montagna famosa, dalle sette scanalature. E' la montagna che ispirò a Lawrence d'Arabia il titolo del suo diario "I sette pilastri della saggezza", da cui a sua volta la montagna ha preso il nome.
La montagna di Lawrence d'Arabia detta "I sette pilastri della saggezza"
Rientriamo in albergo ad Aqaba, ma la giornata non è ancora finita. Indossiamo i costumi da bagno e via in spiaggia, dove ci attende una barca per un giro lungo le coste del Mar Rosso e per raggiungere la barriera corallina. Nel fondo della barca c'è una finestra di vetro che ci permette di vedere i fondali.
La fascia del Mar Rosso appartenente alla Giordania è di appena 23 chilometri, ottenuti dall’Arabia Saudita in cambio di una porzione di deserto. Costeggiamo la fascia del porto fino a scorgere le colline dell'Arabia Saudita. Nella fascia di fronte si vedono ad occhio nudo le case di Elath (Israele) e di Taba (Egitto, Sinai).
La fascia del Mar Rosso appartenente alla Giordania è di appena 23 chilometri, ottenuti dall’Arabia Saudita in cambio di una porzione di deserto. Costeggiamo la fascia del porto fino a scorgere le colline dell'Arabia Saudita. Nella fascia di fronte si vedono ad occhio nudo le case di Elath (Israele) e di Taba (Egitto, Sinai).
La foto inquadra la costa del Sinai e di Israele poco distante da quella opposta della Giordania
Arrivati alla barriera corallina, che vediamo dalla finestra della barca, si sentono le voci concitate di Mamun e delle mie compagne di viaggio quando avvistano pesci e coralli o spugne. Io sto muta, intenta a catturare le immagini con la telecamera. La barriera è quasi a pelo d'acqua e preferisco guardare sporgendomi dalla barca anziché dal vetro del fondo.
Scesi sulla spiaggia i barcaioli ci forniscono le maschere per nuotare e vedere i fondali. Che meraviglia! Lo spettacolo sottomarino è stupendo per la varietà dei colori e delle forme dei coralli e anche dei pesciolini tropicali, che hanno hanno colori brillanti per la meraviglia dei nostri occhi. Chi non fa il bagno (perché non sa nuotare) si limita a cercare tra la sabbia sassolini e conchiglie. Io e Maria Elena cerchiamo le stesse cose in acqua. Io trovo un grosso e lungo bastone spezzato di corallo e lo porto fuori soltanto per mostrarlo. Mamun, credendo che me ne volessi impadronire, me lo fa depositare nel fondo. Certamente è proibito spezzare i coralli e portarseli via!
Risaliamo in barca e rifacciamo lo stesso percorso lungo la costa orientale fino al nostro albergo che si affaccia sul mare.
La giornata non si poteva trascorrere in modo migliore.
Risaliamo in barca e rifacciamo lo stesso percorso lungo la costa orientale fino al nostro albergo che si affaccia sul mare.
La giornata non si poteva trascorrere in modo migliore.
Il nostro Albergo ad Aqaba
7° e ultimo giorno in Giordania – 15 ottobre venerdì
La mattinata di oggi è libera per tutti. Alcune di noi preferiscono passarla al suq per gli ultimi acquisti. Lia non si sente bene e , dopo colazione, torna a letto in camera per riposarsi. Io, Maria Elena e Mariola indossiamo il costume e scendiamo sulla spiaggia dell'albergo per goderci il sole, il mare e un bagno nelle tiepide acque tropicali. Le donne arabe non usano fare il bagno a mare. Vestite di nero dalla testa ai piedi e col capo coperto dal velo, stanno sedute sotto l'ombrellone a guardare i bambini che sguazzano in acqua assieme al loro papà. Poverine! Non sanno la gioia che si perdono a nuotare liberamente in un'acqua così limpida e tiepida come quella di Aqaba! O forse lo sanno e soffrono.
Alle ore 13,30 tutti quanti, compreso Mamun, ci ritroviamo nella hall dell'albergo con i bagagli e partiamo per tornare all'aeroporto di Amman, ripercorrendo dall'estremo sud a nord la stessa strada che da Amman ci ha portato ad Aqaba. Il viaggio di ritorno è un interessante ripasso dei paesaggi già visti.
Il viaggio in Giordania si è concluso. L'aereo ci porta al Cairo, dove passiamo a notte. Il giorno seguente, sabato 16 ottobre, un aereo ci porta a Catania e nel tardo pomeriggio ritorniamo a Sciacca.
Fine
La mattinata di oggi è libera per tutti. Alcune di noi preferiscono passarla al suq per gli ultimi acquisti. Lia non si sente bene e , dopo colazione, torna a letto in camera per riposarsi. Io, Maria Elena e Mariola indossiamo il costume e scendiamo sulla spiaggia dell'albergo per goderci il sole, il mare e un bagno nelle tiepide acque tropicali. Le donne arabe non usano fare il bagno a mare. Vestite di nero dalla testa ai piedi e col capo coperto dal velo, stanno sedute sotto l'ombrellone a guardare i bambini che sguazzano in acqua assieme al loro papà. Poverine! Non sanno la gioia che si perdono a nuotare liberamente in un'acqua così limpida e tiepida come quella di Aqaba! O forse lo sanno e soffrono.
Alle ore 13,30 tutti quanti, compreso Mamun, ci ritroviamo nella hall dell'albergo con i bagagli e partiamo per tornare all'aeroporto di Amman, ripercorrendo dall'estremo sud a nord la stessa strada che da Amman ci ha portato ad Aqaba. Il viaggio di ritorno è un interessante ripasso dei paesaggi già visti.
Il viaggio in Giordania si è concluso. L'aereo ci porta al Cairo, dove passiamo a notte. Il giorno seguente, sabato 16 ottobre, un aereo ci porta a Catania e nel tardo pomeriggio ritorniamo a Sciacca.
Fine
Complimenti per il bel diario di viaggio.
RispondiEliminaA visionare le foto e leggere le descrizioni dettagliate si ha l'impressione di essere stati con Voi in Giordania. Grazie, Nietta.