domenica 5 settembre 2010

Il cardellino e la banana

Sciacca 2 luglio 2003

10 – “Il cardellino e la banana.”

Quando venni ad abitare a Siacca, Mario, il nipotino di Giovanni, aveva cinque anni. Il bambino era vivace e grazioso ed era coccolato in famiglia.
Un giorno d’agosto i genitori, che erano soliti andare al mare, dove Mario si divertiva insieme al fratello, di due anni maggiore, decisero invece di andare a trovare un amico che villeggiava a San Calogero. Questa diversione di programma dispiacque al bambino, che si mise a strillare e a battere i piedi non appena si rese conto che quel giorno non si andava sulla spiaggia. Il papà attraversava le vie della città al volante dell’auto, innervosito dai suoi strilli. Invano cercava di rabbonirlo, con promesse allettanti. Vedendo un negozio di uccelli lungo la strada in cui stavano passando, la mamma pensò che forse un uccellino in gabbia lo avrebbe incuriosito e distratto dal pensiero del mare. Fermarono l’auto davanti al negozio e vi entrarono. Mario si incuriosì al frastuono degli uccelli saltellanti e cinguettanti nelle gabbie appese alle pareti.
Comprarono un cardellino in gabbia e lo posarono sul sedile posteriore, accanto al bambino.

La soluzione sembrò ottima. Mario smise di strillare e si interessò al cardellino che saltellava nella gabbia accanto a lui. Era la prima volta che vedeva un uccello da vicino. Infilava il ditino tra le sbarre della gabbia per toccarlo, ma la bestiola si ritraeva spaventata. I genitori poterono conversare indisturbati fino a quando giunsero a San Calogero. Parcheggiarono l’auto sulla strada fuori del cancello della villetta dell’amico, lasciarono l’uccellino nel sedile posteriore, chiusero i finestrini ed entrarono nella villetta. Mario, distratto dall’ambiente nuovo in cui si trovava, non pensò al cardellino. Terminata la visita e ritornati in auto, trovarono l’uccellino senza vita, ucciso dal gran caldo. Mario non capiva perché la bestiola, che prima saltellava vivacemente, ora non si muoveva. I genitori spiegarono che non si muoveva perché era morto.
“Che significa morto?” Spiegarono il concetto di vita e di morte come meglio poterono, ma il bambino non capiva. Come poteva capire un concetto così misterioso anche per noi adulti? Le parole erano buttate al vento. Mario non voleva ascoltare nessun discorso; voleva l’uccellino vivo e basta. Si mise a strillare e a battere i piedi: voleva l’uccellino vivo. Per tutto il viaggio di ritorno non sentì ragione alcuna. Il padre, irritato dagli strilli e dalla calura di agosto, per rabbonirlo gli promise che sarebbero tornati nel negozio e avrebbero comprato un altro uccellino. Mario strillava ancora di più: voleva comunicare ai genitori che non gli interessava un altro uccellino, ma solo quello che era morto e voleva che tornasse in vita. Ma come spiegare a un bambino di cinque anni che dalla morte non si ritorna?
Il bambino continuò a piangere. Ritornarono nel negozio, ma Mario si rifiutò di scendere dall’auto. Voleva solo il suo cardellino vivo. Esausti i genitori tornarono a casa, rinunciando ad altri tentativi di persuasione. Il bimbo continuò a piangere fino all’esaurimento delle sue forze. La storia non ebbe alcun seguito. Quell’episodio rimase unico. Da quella prima brutale esperienza Mario aveva capito il concetto di morte e che in natura ci sono delle leggi contro cui l’uomo non può combattere.

Un episodio simile, ma meno brutale, capitò a mio figlio Ignazio all’età di appena tre anni. Prima di tornare a casa, dove il bambino era rimasto, sorvegliato dalla nonna, comprai per lui delle banane. Quando le vide, Ignazio manifestò il desiderio di mangiarne una. Rapidamente sbucciai la più grossa fino a pochi centimetri dal gambo e gliela offrii. La sua reazione fu una esplosione di rabbia. Non dovevo sbucciarla! Doveva essere lui a farlo!
Si sa che le prime esperienze sono preziose per i bambini. Ma in quel momento non pensai che sbucciando la banana avevo tolto a mio figlio il piacere di sperimentare un atto nuovo. Ma come fare a riparare l’errore? Mi parve logico offrirgli un’altra banana integra per permettergli che la sbucciasse lui. Ma la logica degli adulti non sempre viene subito compresa dai bambini, che imparano prima dall’esperienza personale, senza la quale le parole sono vuote di significato. E’ l’esperienza che dà significato alle parole.

Ignazio strillava perché non voleva sbucciare un’altra banana, ma quella che avevo sbucciato io. Voleva che la banana da me sbucciata tornasse integra, come Mario voleva che il cardellino stecchito tornasse in vita. Mi arresi di fronte a tanta irrazionalità.

All’improvviso mi balenò in mente un’idea. Mentre Ignazio continuava a piangere stizzito, presi ago, ditale e filo e cucii i lembi della buccia.
Ignazio smise di piangere guardando meravigliato l’operazione che si compiva sotto i suoi occhi. Alla fine gli porsi la banana con la buccia cucita che prese in mano con uno sguardo incredulo. La guardava incuriosito, la rigirava nelle sue mani divertito e infine mi abbracciò con un sorriso.
Quell’esperienza fu una lezione di vita per lui e anche per me. Lui imparò che gli eventi sono irreversibili; io imparai che per i bambini l’esperienza personale è la migliore maestra.

Nietta

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